Nel 2017 l’archeologa Annika Larsson dell’Università di Uppsala, mentre stava allestendo la mostra Viking Couture all’Enkoping Museum dedicata a modelli tessili, analizzando le decorazioni presenti nel corredo funebre rinvenuto negli ultimi cent’anni nei sepolcri vichinghi, si accorse di ricorrenti iscrizioni riconducibili ad Allah, ma anche ad Ali, il quarto profeta venerato dai musulmani, che gli sciiti credono l’erede spirituale di Maometto stesso. Le piccole incisioni, veri e propri ornamenti eseguiti in seta e argento, sono state individuate nelle tombe dell’area di Gamla Uppsala, risalenti alla fine del IX secolo.
I nomi dei profeti islamici sono stati eseguiti nell’antica scrittura araba, il cufico, uno stile calligrafico sviluppato dal VII secolo e in uso fino al X secolo, prima di essere definitivamente rimpiazzato da un altro stile.
L’archeologa ha suggerito che alcune delle persone sepolte con addosso quei paramenti, fossero di fede islamica: «Già dall’esame del Dna di alcune salme avevamo scoperto che le persone sepolte in qualcuna delle tombe vichinghe erano originarie della Persia, dove l’Islam era dominante. Ma l’ultima scoperta può indurre alla conclusione che i vichinghi fecero proprie alcune credenze e convinzioni religiose musulmane, come la vita eterna ultraterrena. Sono sicura che troveremo altre iscrizioni islamiche in quei reperti e in altre vestigia vichinghe. Forse non solo in materiale tessile. Un particolare interessante è che la parola per ‘Allah’ è raffigurata specularmente, forse era un tentativo di scrivere le preghiere in modo che potessero essere lette da sinistra a destra, ma con i canonici caratteri arabi. Spesso viene sostenuto che gli oggetti orientali nelle tombe di epoca vichinga fossero semplicemente stati saccheggiati, ma questi sono ricami di tipici abbigliamenti vichinghi, gli stessi indossati dalle Valkyrie nell’iconografia arrivata fino a noi».
Annika Larsson sta già lavorando fianco a fianco con la collega genetista Marie Allan, per sviluppare studi genetici sui resti ossei rinvenuti nelle principali tombe vichinghe, per far luce sulla parentela e sull’origine geografica.
Altre iscrizioni impresse con caratteri cufici sono state ritrovate anche su barche funerarie e tombe.
Durante una delle tante campagne di scavo condotte a Birka, verso la fine del XIX secolo, l’archeologo Hjalmar Stolpe rinvenne fra l’altro anche un anello facente parte del corredo funebre di una sepoltura femminile risalente all’850. Il monile, in argento con vetro colorato incastonato, venne diligentemente catalogato dal museo di Stoccolma, ma solo nel 2015 il biofisico Sebastian Warmlander dell’Università di Stoccolma, mentre eseguiva analisi sulla composizione del manufatto, scoprì che il gioiello conteneva l’incisione in arabo kufico ‘Per Allah’. Warmlander ha dichiarato nella circostanza che «[…] fra la Scandinavia e i califfati islamici medievali la distanza era immensa, ma questo anello costituisce la prima prova di interazioni dirette fra i vichinghi e le popolazioni musulmane».