L’avamposto sulla Luna

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Lo scrittore Jean Sendy (l’immagine è tratta da un’intervista televisiva realizzata il 20 febbraio 1963, Radiodiffusion Télévision Française)

Dal 1963 lo scrittore Jean Sendy scrisse di Antichi astronauti nel libro Les Cahiers de Cours de Moise (1963) a cui seguirono La Lune, cle de la Bible (1968) e Ces Dieux qui firent le ciel et la terre (1969): solo quest’ultimo fu tradotto in italiano con il titolo Gli dei venuti dalle stelle (1971).

Nei suoi testi Sendy interpretava alla lettera i testi biblici, convincendosi che il Genesi, sulla scorta di diverse circostanze che l’autore riteneva concordi, fosse in realtà il racconto degli Antichi astronauti, gli Elohim, che giunsero sulla Terra circa ventimila anni, provenienti probabilmente dalla costellazione del Sagittario.

Dieci, dodicimila anni più tardi, dopo aver rigenerato un ambiente martoriato dalla glaciazione, lavorando anche sul materiale genetico sopravvissuto, i loro discendenti ripartirono.

Sendy, rifacendosi probabilmente anche al lavoro di Brinsley Le Poer Trench, suggeriva che la parola Elohim dell’originario testo ebraico della Bibbia, tradizionalmente resa come ‘Dio’, avrebbe dovuto tradursi invece con il plurale ‘Dei’, poiché il singolare era Eloah.

Come spiega Stefano Bigliardi assistent professor di Filosofia all’Al Akhawayn University in Ifrane in Marocco, nello studio A Gentleman’s Joyous Esotericism: Jean Sendy Above and Beyond the Ancient Aliens, pubblicato in Alternative Spirituality and Religion Review (Volume 8, 2017), Sendy riprende un’idea di Voltaire perché fu proprio il pensatore francese che «diede voce all’idea che il termine Elohim nella Genesi è un vero plurale – sebbene fosse un umanista e non spingesse l’interpretazione oltre l’idea che una tale caratteristica del testo fosse una reliquia del politeismo». Per Sendy qualche esemplare di bipede primitivo che abitava il nostro pianeta, poteva anche essere stato educato e migliorato con un’evoluzione controllata: «Si può anche considerare un’azione di mutamento al livello dei cromosomi, il testo biblico parla effettivamente di ‘infondare un soffio vitale’».

L’Eden sarebbe stato creato in una regione privilegiata nel bacino del Mediterraneo, circondata da mura e con un microclima eccezionale mantenuto costante dai meteorologi che agiscono nel laboratorio di Lilith, un piccolo satellite in orbita attorno alla Terra.

Questo vero e proprio paradiso poteva quindi accogliere un campionario di uomini con il compito di coltivare e custodire il giardino, che assicurava fra l’altro anche il nutrimento dei Celesti.

Egli sosteneva che quando le società umane divennero abbastanza evolute da possedere dei documenti scritti, tutte tramandarono la loro storia attribuendo «ad un insegnamento avuto dagli dei venuti dal cielo l’insieme delle loro conoscenze e dei progressi compiuti fin dai tempi lontani in cui gli dei, scesi da navi celesti trovarono uomini viventi tra gli animali che non sapevano di aver già dei padroni in potenza».

L’autore suggeriva inoltre che la Luna fosse stato un avamposto dei viaggiatori spaziali («comodo come un capanno proprio di fianco ad un cantiere”) e che solo all’interno di un cratere sul satellite si potessero rinvenire tracce pertinenti, in particolare il misterioso Arco d’alleanza promesso ai discendenti di Noè nel IX capitolo del Genesi.

Si tratterebbe di un meccanismo di propulsione, una rampa di lancio, insomma, contenente «un insieme di dati concreti, scritti in ebraico, in grado di far compiere alle scienze umane, alla fisica e alla biologia in particolare, il prodigioso ‘passo in avanti’ che permet-terà agli uomini di uguagliarsi agli dei».

Durante il tragitto per raggiungere la Terra, i cosmonauti avrebbero fatto tappa anche dalle parti di Marte, orbitando attorno al pianeta col satellite artificiale Phobos. Sendy si rifaceva all’ipotesi dell’astrofisico Joseph Samuilovich Sklovskij, che nel 1959 aveva suggerito, sulla scorta delle osservazioni del moto orbitale e della densità insolitamente bassa del satellite marziano, che questo fosse vuoto e di origine artificiale.

Anche l’altra luna di Marte, Deimos, poteva avere per l’autore natura artificiale ed essere un laboratorio installato sul posto dai viaggiatori dello spazio: «era un ‘vagone’ trainato dalla ‘locomotiva’ Phobos?».

Tutto sommato, nonostante qualche volo di fantasia, la ricostruzione operata da Sendy appariva verosimile e all’autore va riconosciuta una lucidità d’analisi fuori dal comune, che raramente ho rinvenuto in qualche altro scrittore.

Fra l’altro, inutile nasconderlo, alcune sue intuizioni sono state riprese a piene mani anche da autori recenti.

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