La navicella di Toprakkale

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La fortezza di Toprakkale (Klaus-Peter Simon, Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported)

Toprakkale, o Tell Hamdoun, è una cittadina turca che prende il suo nome, Fortezza della Terra, da una celebre fortificazione che sorge a un paio di chilometri dal centro.

Il fortilizio di Tuspa, questo il vecchio nome con cui era conosciuta la città, rischiò però di cedere il primato il 29 novembre 1995, quando la stampa diede conto del rinvenimento di un piccolo manufatto d’argilla.

Lungo ventidue centimetri, largo e alto quasi otto, il reperto, che potrebbe risalire al 1000 a.C., la cosiddetta navicella di Toprakkale effigia un omino senza testa, all’interno della sagomatura centrale.

Senza tanti giri di parole, pare proprio di vedere un pilota al posto di comando di un veicolo monoposto, dotato all’estremità posteriore di tre coni che potrebbero apparire come gli ugelli di scarico di altrettanti motori a propulsione mentre l’estremità opposta si presenta affusolata e acuminata.

Il nostro omino senza testa indossa una specie di tuta con trame lineari orizzontali, degli stivali e forse anche dei guanti. Quest’abbigliamento ricorda in maniera impressionante quello in dotazione ai cosmonauti sovietici negli anni Settanta del secolo scorso.

Ai più arditi sembra di riconoscere, nel punto in cui la testa è troncata, addirittura i tubi di respirazione che dovevano confluire nel casco.

Il reperto dovrebbe essere in giacenza al Museo Archeologico di Istanbul; tuttavia, non sarebbe esposto poiché sospettato di essere un falso. L’articolo che ne parlava, apparso sulle pagine della rivista turca, s’intitolava Sculpture of Spaceship Hidden in Istanbul Archaeological Museum e a corredo presentava la fotografia che ancor oggi lo identifica.

Secondo questa fonte, il reperto sarebbe stato rinvenuto nel 1973, durante uno scavo archeologico a Toprakkale. L’antica Tuspa nel I millennio a.C. era la capitale del regno di Urartu (Ararat per la Bibbia). Una città che si specchia sulle acque del lago Van e da cui si ammira un paesaggio che comprende anche il monte Ararat.

Gli Urarti (o Urartei), che si credevano diretti discendenti dei sopravvissuti al diluvio, sono ancora ricordati in perenne competizione con gli Assiri.

Ci troviamo ancora una volta davanti un manufatto sicuramente bizzarro perché esulante dalla situazione storica in cui sarebbe stato rinvenuto. Non ci sono testimonianze scritte attendibili che ne attestino il ritrovamento in uno scavo archeologico, non sappiamo nulla dell’ipotetico archeologo indiano (a volte citato senza nome nei ‘resoconti’ in rete da parte di chi si spaccia incredibilmente per ‘esperto in paleoastronautica’), artefice della sensazionale scoperta.

Non c’è certezza sulla datazione, che si rifà esclusivamente a quella storicamente attestata per la civiltà degli Urarti, collocata in Turchia nella prima parte del I millennio a.C.

Se ciò non fosse ancora sufficiente per bollare come falso quest’artefatto, dobbiamo anche interrogarci su evidenti incongruenze: il manufatto presenta un unico segno di rottura in corrispondenza della testa, quindi la mancanza di ali laterali (intenzionale, nell’idea degli ignoti artisti) non depone a favore della tesi di un mezzo aereo convenzionale. Se l’oggetto rappresentasse un razzo, non si riesce a comprendere la mancanza d’ulteriori necessarie protezioni per un pilota in volo nello spazio siderale. Infine la tuta indossata dal pilota della navicella di Toprakkale, spesso accostata a quella in uso ai cosmonauti sovietici all’inizio dell’era spaziale, dovrebbe portare alla conclusione che il reperto, rinvenuto quarant’anni fa, è stato realizzato proprio in quel preciso contesto e con le conoscenze dell’epoca.

Nella sostanza, potremmo trovarci nella stessa ipotesi che ho già delineato nel libro OOPArt del 2012 per il vaso di Danchester.

Semmai, se proprio vogliamo trovare qualcosa d’interessante in questo manufatto, certamente esulante da quel che dovevano essere le conoscenze degli Urarti, potremmo realisticamente riconoscere in esso la rappresentazione di un macchinario munito di punta trapanante per la realizzazione di gallerie, in un ambiente montuoso che poteva richiedere tale tipo di tecnologia.

Per ora il mistero di Toprakkale rimane quello della fortezza, costruita con mura ciclopiche utilizzando grossi blocchi di pietra senza l’aggiunta di malta, e le iscrizioni in assiro del re Sarduri I.

Questo sovrano, che regnò sulla città nell’VIII secolo a.C., si arrogò il merito di aver eretto la fortezza trasportando i blocchi di pietra, pesanti anche quaranta tonnellate, da Alniu, posta sulla sponda nord orientale del lago Van.

Ma Sarduri, al pari di Cheope, potrebbe aver compiuto solamente un’opera di restauro su un monumento ben più antico.

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