Mari d’Egitto

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Scultura del faraone Thutmose III, XVIII dinastia (Metropolitan Museum of Art)

Nell’antichità gli Egizi disponevano di una vasta rete commerciale per importare molti prodotti di cui necessitavano soprattutto i nobili.

Sono attestate spedizioni commerciali e militari soprattutto in Nubia, Libia e Fenicia.

Sotto il regno di Thutmose III (dal 1457 a.C. in poi) l’Egitto raggiunse la sua massima espansione territoriale comprendendo la Nubia e l’Asia almeno fino all’Eufrate.

Regolari erano anche le campagne militari contro tribù nomadi per rendere sempre più sicure le piste carovaniere della penisola del Sinai.

Importanti piste carovaniere attraversavano la Siria e l’Egitto era in buoni rapporti commerciali con i popoli della Mesopotamia, che per trasferire le merci nella terra dei faraoni utilizzavano anche il corso dell’Eufrate e il Mar Rosso.

È interessante notare che più di quattromila anni fa furono intensi gli scambi commerciali fra la Mesopotamia e il Golfo Persico, l’India, la Somalia.

Le navi sumere arrivarono fino in India attraversando il Golfo Persico e quello di Oman, chiamata Magan, da cui i Sumeri si approviggionavano di rame almeno dalla seconda metà del III millennio a.C.

Negli anni Settanta del secolo scorso a Oman sono state individuate almeno tre miniere di rame risalenti al 2500 – 2000 a.C.

Abu Tbeirah, un grande insediamento tributario a Ur, è stato recentemente scavato da una missione archeologica italiana promossa dall’Università La Sapienza di Roma e diretta dall’assiriologo Franco D’Agostino e dall’archeologa Licia Romano.

Collegata con un canale alla famosa città della bassa Mesopotamia, Abu Tbeirah  era posta a ridosso del mare, vicino all’antica linea di costa del golfo arabico. Si trattava di una struttura portuale operante tra il 2400 e il 2150 a.C. circa, prima che i cambiamenti climatici dell’epoca (il cosiddetto 4.2 ka BP) ne decretasse la fine.

Gli scopritori dicono che «il porto situato nella parte nord ovest del Tell di Abu Tbeirah è un bacino artificiale, una zona più depressa, circondata da un massiccio terrapieno con un nucleo di mattoni d’argilla con due accessi che lo  mettevano in comunicazione con la città e che sono chiaramente visibili anche dalle immagini satellitari di Google. Si tratta del porto più antico sinora scavato in Iraq, visto che le uniche testimonianze di strutture portuali indagate archeologicamente provengono da Ur, ma sono di duemila anni più tarde».

I ricercatori non escludono che il porto, oltre alle classiche funzioni di ormeggio delle barche e di gestione dei commerci con le altre città, fungesse anche da riserva d’acqua e immensa vasca di compensazione delle piene del fiume.

Da qui potevano ragionevolmente salpare anche le navi sumere dirette a Magan.

Anche in epoca più tarda Berenice e Myos Hormos (a circa otto chilometri dalla moderna Quseir) erano diventati importanti porti di transito tra le terre del Mar Rosso e Roma.

Berenice era collegata al Nilo mediante piste carovaniere che attraversavano il deserto e da lì giungevano al Mediterraneo.

Da qui partivano spedizioni fino alle coste del Malabar, in India, ove le fonti storiche (tra cui Plinio il Vecchio e Claudio Tolomeo) ricordano il porto di Muziris.

Successivamente Muziris divenne una ramificazione della famosa Via della Seta, una pista carovaniera che permetteva scambi commerciali con Arabia, Somalia, Egitto, Persia, India e Cina.

Lo storico Alessandro Vanoli racconta come poteva essere una spedizione in partenza da Alessandria nel 250 a.C.: «È un viaggio verso oriente tutto sommato veloce, anche se piuttosto complesso: si comincia infatti puntando a sud, seguendo a ritroso il corso del Nilo sino a Coptos e di lì via terra, in carovana, verso il porto di Berenice sul mar Rosso. A quel punto ci si imbarca nuovamente, si costeggia la penisola Arabica e infine si fa rotta verso i porti indiani di Muzeris o di Becare. Un viaggio che, se tutto va bene, è capace di durare un po’ più di tre mesi, e che sposta con regolarità uomini e merci tra i due continenti, portando ad Alessandria spezie, cani, buoi e giovani schiave».

Da Muziris provenivano pepe nero, cannella, diamanti, zaffiri, avorio, seta e altri prodotti esotici.

Nel 2004 il perduto porto di Muziris è stato individuato a una decina di chilometri da Pattanam, dall’archeologo K.P. Shajan: gli scavi, con gli anni, hanno restituito numerosi reperti, non solo romani, che testimoniano stretti rapporti con il Mediterraneo, il Mar Rosso e l’Oceano Indiano.

Lo storico Rajan Gurukkal ritiene che Muziris in principio fosse una colonia fondata da mercanti provenienti dal Mediterraneo, giunti fin lì grazie al favore dei venti monsonici.

È stato inoltre ipotizzato che con una barca a vela, sfruttando correnti favorevoli, si poteva raggiungere Muziris dal Mar Rosso in appena quaranta giorni. In fondo, come ricorda Bruno Cremascoli, «una nave a remi in quaranta giorni poteva navigare il Mar Rosso in tutta la sua lunghezza».

Una sorte identica ha riservato a Berenice e Muziris l’oblio almeno dal VI secolo d.C. tanto che entrambi i porti sparirono dalle rotte.

E allo stesso modo il destino ha fatto ritrovare Muziris dopo che gli scavi archeologici del 1994 a Berenice, testimoniarono gli antichi contatti con la costa di Malabar, ritrovando pepe nero in grani, ceramiche, stoviglie e tela per vele di manifattura indiana, legno di teak (foreste di teak naturale crescono solo in quattro paesi: India, Laos, Myanmar e Thailandia).

L’altro attracco famoso dell’antichità era, come già accennato, Myos Hormos sul Mar Rosso, attivo già nel III secolo a.C. per merito dei Tolomei.

I Romani ne fecero una base di partenza per la rotta commerciale verso l’India, con attracco a Muziris, di cui abbiamo già scritto.

Anche Myos Hormos cadde nell’oblio dopo la fine dell’Impero romano d’Occidente.

La navigazione nell’antichità viene raccontata per filo e per segno nel ‘Periplus Maris Erythraei’ (Periplo del Mar Eritreo), compilato all’inizio della nostra era da un greco d’Egitto rimasto ignoto.

Nel prezioso documento, si tratta in realtà di una copia bizantina dell’originale ormai perduto, sono descritte le rotte di navigazione riferite a Mar Rosso, Oceano Indiano e  Golfo Persico.

Lo storico Marco Di Branco aggiunge che il Periplo è «un vero e proprio vademecum del commerciante dai porti egiziani fino al Mozambico e fino all’India […] Vi si legge di una descrizione di Adulis e di Axum, che mette appunto in evidenza l’intensità dei commerci».

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