L’incontro segreto di Eva Duarte con Umberto II

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La First Lady Eva Duarte Perón, all’arrivo in Spagna nel 1947 (Iberia Airlines)

L’8 giugno 1947, dopo un estenuante traversata aerea, Maria Eva Duarte raggiunse l’Europa, rimanendovi per quasi tre mesi, fino al 23 agosto. La giovane moglie del generale Juan Domingo Perón, dall’anno prima eletto democraticamente presidente dell’Argentina, era stata invitata ufficialmente dal ministro spagnolo Martín Artajo, ma andava in giro soprattutto per raccogliere consensi attorno al peronismo, il movimento politico ispirato anche alla sua figura e sorretto soprattutto dagli descamisados, la parte più povera della popolazione che durante le manifestazioni, per via del caldo asfissiante, si toglieva la camicia o s’arrotolava le maniche.

Nel suo viaggio europeo, chiamato da lei stessa il “Giro dell’Arcobaleno”, poiché s’immaginava essere il ponte tra Perón e la gente, Evita visitò la Spagna, l’Italia, il Vaticano, la Francia, il Portogallo e la Svizzera.

In Portogallo Evita incontrò anche Umberto II, ultimo re d’Italia, lì in esilio forzato come tanti altri monarchi d’Europa.

L’incontro fra Eva Perón e Umberto II avvenne il 20 luglio 1947, nel ristorante La Tenda de Pau (o nell’osteria La Barraca, come sostengono invece altri) a Guincho, nei pressi di Cascais. Il re d’Italia in esilio era accompagnato dal generale Marchese Carlo Graziani, Capo del cerimoniale del Re a Cascais, e dal generale dimissionario della Regia Aeronautica Giuliano Paolo Cassiani Ingoni, Aiutante di campo del sovrano.

Si è detto e scritto di tutto sui motivi all’origine di questo colloquio informale, ma alla fine la tesi dominante rimane quella esposta dallo storico Giorgio Cavalleri nel libro Evita Perón e l’oro dei nazisti (Piemme, 1998): la moglie di Perón riteneva che Umberto II «avrebbe potuto procurare le presentazioni e i contatti necessari presso i banchieri svizzeri per occultare le ricchezze inviate dagli ex gerarchi di Hitler in Sudamerica».

L’autore si è avvalso anche di documentazione fornitagli da Shimon Samuels, responsabile delle relazioni internazionali del Simon Wiesenthal Center di Los Angeles, un’organizzazione non governativa che mantiene memoria dell’Olocausto, dedicata al noto cacciatore di nazisti.

L’attenzione di Cavalleri si è soffermata sulla relazione “Visita in Portogallo della signora Perón”, compilata da Pinto de Lemos e protetta dal sigillo ‘confidenziale’, conservata nell’archivio storico del ministero degli Esteri portoghese. Durante l’incontro «Evita avrebbe parlato a Umberto II di una cassetta contenente gioielli stimati sui 100 milioni di dollari, convincendo l’ex monarca italiano a depositarli a suo nome in una banca di Lisbona, prima di farli arrivare in Svizzera. O, più probabilmente, ricevendo dal ‘re di maggio’ consigli adeguati circa la loro ‘collocazione’».

Chi scrisse quella relazione, Abilio Andrade Pinto de Lemos, in seguito ambasciatore del Portogallo in Svizzera, Austria e Italia, all’epoca ricopriva il ruolo di secondo segretario di legazione e fu incaricato dal ministro degli Esteri Caeiro da Mara di accompagnare Eva Perón durante la sua permanenza di quattro giorni a Lisbona.

Nella citata relazione si precisava che al pranzo era presente anche il banchiere argentino Pedro Dodero e che al termine dell’incontro con Umberto II, Evita appariva felice e quasi euforica per aver trovato una sistemazione ‘adeguata’ all’oro nazista. Per ringraziare Umberto di Savoia dei consigli dispensati, Evita «fece pervenire all’ex sovrano, tramite Carlo Graziani, aiutante di Umberto, una sua fotografia con autografo e la dedica “A Umberto, splendido re d’Italia, con ammirazione”».

Lo storico Guido Gerosa scriveva, tra l’altro, che i banchieri svizzeri e inglesi amministravano da tempo immemorabile  gli ingenti capitali dei Savoia; per questo il re d’Italia in esilio «era un gran cliente e amico fidato delle banche della Confederazione e pose i suoi ottimi uffici affinché esse si prestassero a svolgere un accurato lavoro per Evita e per i suoi amici della Croce uncinata, tra cui il famoso Otto Skorzeny».

All’epoca nulla trapelò sulla stampa dell’incontro tra Eva Duarte a Umberto II. La notizia fu confidata da Ricardo de Labougle, ambasciatore argentino a Londra dal 1946 al 1950, a un giornalista di Ultima Clave, quasi trent’anni dopo. Il settimanale argentino il 14 luglio 1972 pubblicò un articolo sulla vicenda e insinuò, fra l’altro, che l’episodio della visita di Eva Duarte al re d’Italia in esilio, fosse dipeso anche dall’intenzione di risolvere la questione di un carico d’oro già arrivato per nave a Genova qualche giorno prima, nascosto in mezzo a una fornitura di grano, che sarebbe poi dovuto essere depositato su un conto svizzero.

Giorgio Cavalleri ha scoperto che il 17 luglio 1947, cioè lo stesso giorno che Eva Duarte raggiunse in volo il Portogallo, al porto di Genova aveva attraccato, proveniente dall’Argentina, il piroscafo Santa Fé con novanta tonnellate di grano dell’armatore Alberto Dodero, l’uomo che accompagnava (e finanziava) la moglie di Perón durante il viaggio in Europa. Dodero, che mise a disposizione di Evita la sua villa di Rapallo dal 6 luglio per almeno due settimane, non seguì la donna ma rimase dov’era: «La supposizione che possa essere rimasto in Liguria per controllare e verificare che lo scarico della sua nave avvenisse nel migliore dei modi è più che plausibile».

Giuseppe Casarrubea e Mario José Cereghino ricordano, a questo punto, che in un articolo pubblicato dal London Daily Express il 25 novembre 1972, lo storico Ladislas Farago, con un passato di agente dell’Oss, sostenne che nell’estate del 1947 Eva Perón trasportò in Europa, certamente avvalendosi della protezione diplomatica, decine di milioni di dollari, in lingotti d’oro, sterline, dollari e franchi svizzeri: «Il tesoro arriva a Genova a bordo di alcune navi mercantili argentine, nascosto nelle stive tra sacchi di grano e balle di cotone. Ma una parte raggiunge l’Europa in una borsa di cuoio, da cui il fratello maggiore di Evita, Juan Duarte, che fa parte della comitiva argentina, si separa solo a Cascais».

Il sospetto a questo punto potrebbe anche farsi certezza: parte del denaro e dell’oro depredato dai nazisti agli ebrei, dopo essere arrivato in Argentina, sarebbe stato amministrato dal presidente Juan Domingo Perón e dalla carismatica moglie Evita, una donna ancor oggi venerata dalla sua gente e immortalata in film, musical e canzoni di grande successo.

Una montagna di soldi e gioielli che mantenne in piedi la dittatura peronista per quasi dieci anni, con un evidente sviluppo economico coinciso con i primi anni di governo, grazie al piano industriale quinquennale 1947-1951, che prevedeva anche la nazionalizzazione dei principali servizi pubblici.

 

Bibliografia essenziale:

Evita Perón: grazie a Umberto II nascose oro nazisti in Svizzera, Archivio Agenzia AdnKronos, 14 settembre 1998.

Giorgio Cavalleri, Evita Perón e l’oro dei nazisti, Piemme, 1998.

Charles Philippe d’Orléans, Rois en exil, L’Express Roularta Editions, 2012.

Emanuel Quintas, I rapporti politici tra Italia e Argentina negli anni del peronismo (1946-1955), Tesi dottorale Università Roma Tre Scuola dottorale in Scienze Politiche, 2011.

Giuseppe Casarrubea e Mario José Cereghino, Tango Connection. L’oro nazifascista, l’America Latina e la guerra al comunismo in Italia. 1943-1947, Bompiani, 2007.

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