Nel febbraio 2016 è mancato a Gallarate Alfredo Castiglioni, un etnologo e archeologo di settantanove anni, che assieme al fratello gemello Angelo si era reso protagonista di eclatanti scoperte in giro per il mondo.
Due giorni fa è deceduto anche Angelo.
Alfredo Castiglioni, poco prima di morire, era appena rientrato dall’Eritrea e con il gemello stava organizzando una spedizione per trovare la mitica Terra di Punt.
I fratelli Castiglioni sono stati in fondo anche i protagonisti di un libro che ho pubblicato nel 2018, “La mitica terra di Punt“, Cerchio della Luna Editore.
I germani erano comunque appassionati di tutto il continente nero da almeno cinquant’anni.
Nel 1959 erano in Camerun per studiare le popolazioni paleonegritiche Mofu, Matakam e Kapsiki; l’anno dopo si trasferirono nel Golfo di Guinea per capire come funzionasse la medicina tradizionale degli indigeni.
Nel 1986 li ritroviamo in Niger a Gadafaua, spalla a spalla con Ambrogio Fogar e altri ricercatori, perché lì avevano individuato resti fossili di quello che è considerato uno dei più importanti insediamenti di dinosauri.
Nel 1987 i due, nel deserto occidentale egiziano, scoprirono resti scheletrici degli Achemenidi, sulle tracce di quella che fu l’armata perduta di Cambise II del V secolo a.C., a noi nota dalle Storie di Erodoto.
Due anni dopo i Castiglioni scoprirono Berenice Pancrisia, dove erano ubicate le antiche miniere nubiane di cui faceva menzione Plinio il Vecchio in Naturalis Historia.
Furono i fratelli Castiglioni, più di una decina di anni fa, a suggerire per la Terra di Amu, citata nell’elenco delle miniere d’oro inciso nel tempio di Luxor durante la reggenza di Ramesse II nel XIII secolo a.C., una localizzazione sulle montagne di Abu Siha nel deserto nubiano sudanese, grazie alla scoperta di un paio di graffiti nei pressi di Kerma.
Come ricordavano loro stessi “[…] Gli Egizi chiamavano Terra di Wawat la regione desertica a oriente del Nilo, situata nell’Alta Nubia, oggi conosciuta come Deserto nubiano sudanese”. E lì i Castiglioni localizzarono oltre cento antiche miniere aurifere, confermando quello che già recitavano gli Annali di Thutmosi III su una parete del grande tempio di Karnak; si trattava della zona mineraria più importante degli Egizi, tanto da produrre in soli tre anni quasi ottocento chilogrammi d’oro.
Tracce del passaggio egizio in Nubia provengono anche dalle decine di iscrizioni geroglifiche (risalenti al periodo 1550 – 1075 a.C.) che i fratelli Castiglioni rinvennero nel deserto nubiano: “[…] Le loro posizioni riportate sulle carte satellitari e le successive indagini ci hanno permesso di evidenziare il tracciato di antiche vie carovaniere attraverso il deserto nubiano”.
Il declino egizio durante il Medio Regno permise a Kerma, una delle più importanti città del regno di Kush, di affrancarsi e addirittura estendere la zona d’influenza fino a Syene (oggi Assuan), stabilendo importanti rapporti commerciali con Adulis, l’antica area portuale che secondo i fratelli Castiglioni era connessa alla Terra di Punt.
Il sito eritreo di Adulis, una località marittima sulla ‘via dell’incenso’, è a poco più di cinquanta chilometri da Massaua. La ‘via dell’incenso’ non era altro che una carovaniera di oltre duemila chilometri che permetteva ai prodotti esotici dell’India e dell’Estremo Oriente di giungere fino al Mediterraneo.
Furono proprio i fratelli Castiglioni a incentivare nuovi scavi archeologici ad Adulis fin dal 2011, coinvolgendo nella missione istituzioni e investitori.
Seguendo i resoconti lasciati dall’archeologo Roberto Paribeni, che scavò ad Adulis nel primo Novecento (‘Ricerche nel luogo dell’antica Adulis’, 1908), il sito è stato nuovamente portato in luce, poiché nel frattempo completamente ricoperto dalla sabbia.
Adulis era anche l’antico porto del Regno di Axum, un centro commerciale dell’Africa orientale, storicamente già ben conosciuto nel IV secolo a.C.
L’egemonia di Axum coinvolse molti stati africani – Egitto, Etiopia, Eritrea, Sudan e Gibuti -, ma i possedimenti si estesero anche nella porzione meridionale dell’Arabia (Yemen e Arabia Saudita) e al regno di Kush.
Si trattava di uno snodo fondamentale, perché lì transitavano tutti i preziosi prodotti provenienti dall’India, richiesti dalle genti del Mediterraneo.