Gli enigmatici tubi di Baigong

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Veduta del lago salato nella provincia di Qinghai (Stefan Wagener)

I tubi di Baigong, rinvenuti in Cina, nella provincia di Qinghai, sono sottili tubi metallici spesso interpretati come manufatti, forse antiche condutture. Del diametro variante da dieci a quaranta centimetri, furono rinvenuti di fronte ad alcune caverne, sulle sponde di un lago salato, il Toson Hu.

Alcuni di questi tubi sembravano incorporati nelle pareti di una delle grotte mentre altri davano l’impressione di scomparire nello specchio d’acqua.

Sono queste, più o meno, le parole dello scrittore cinese Bai Yu, che scrisse delle anomalie riscontrate a Baigong nel volume Into the Qaidam, un resoconto del suo viaggio nella regione risalente al 1996.

L’imbelle scrittore si trasformò anche in geologo e archeologo, tanto è vero che fu lui stesso a estrarre un campione del materiale costituente i tubi per farlo poi analizzare a un certo Liu Shaolin in una fonderia del luogo; il responso fu che quel campione sarebbe composto per un terzo da ossido di ferro ma conterrebbero anche una grande quantità di anidride silicea e biossido di calcio, formatosi da una prolungata interazione fra il ferro e l’arenaria delle pietre. Incredibilmente l’8% del materiale non poteva essere identificato.

Per queste ragioni c’è chi è arrivato a sostenere che in questa zona esistesse nell’antichità una base di lancio se non un osservatorio stellare, visto che tuttora, a poche decine di chilometri, c’è l’Osservatorio dell’Accademia delle Scienze della Cina.

In base a questi composti ferrosi, con il metodo della termoluminescenza il Dipartimento di Sismologia cinese avrebbe determinato, immaginiamo con ogni approssimazione possibile, un periodo temporale compreso tra 70000 e 150000 anni fa, un momento storico comunque critico per la ricerca di bipedi in grado di realizzare simili manufatti.

Non fosse sufficiente il mistero dei tubi, a Baigong c’è anche una formazione rocciosa che, pur nella sua irregolarità, può far pensare a una piramide.

Si tornò a scrivere dei tubi nel giugno 2002, in una relazione di Ye Zhou pubblicata sul Henan Dahe Bao. Di lì a poco Quin Jianwen, un ufficiale locale, informò i giornalisti della Xinhua News Agency della scoperta.

Dalle scarne informazioni trapelate (non si sa se per inconsistenza della notizia o per quale cospirazione, sempre in agguato), in quell’anno una spedizione avrebbe raggiunto la località, con al seguito una troupe televisiva della China Central Television. Come scrisse Brian Dunning nell’articolo The Baigong Pipes, i geologi cinesi, guidati da Zheng Jiandong, pensarono bene di ricondurre la vicenda alla normalità riscontrando, con la spettrografia che i tubi contenevano anche elementi organici di natura vegetale, con la microscopia che si trattava di anelli di alberi: come dire che i tubi in realtà potevano essere semplicemente calchi di radici.

Wang Guang, del Geological Research Institutte of Nuclear Industry, rincarò la dose dicendo che quel materiale inizialmente classificato come “non identificato”, in realtà era composto da nikel, pirite, cadmio, potassio, alluminio e sodio.

Scrivendo di tubi, devo necessariamente accennare ad altri rinvenimenti simili, uno in Francia e gli altri negli Stati Uniti.

Il primo in una cava di Saint-Jean-de-Livet, in uno strato di gesso risalente al Cretaceo (sessantacinque milioni di anni), dove furono rinvenuti tubi metallici similari, quasi ovoidali. A dare la notizia furono il 30 settembre 1968 Y. Druet e H. Salfati; l’informazione venne poi ripresa in Ancient man: A Handbook of Puzzling Artifact, un volume del fisico William Roger Corliss edito nel 1978.

Gli altri ritrovamenti di tubi, stavolta di ematite, sono attestati in alcune arenarie degli Stati Uniti, soprattutto in Lousiana e Florida.

L’ematite è un minerale che si presenta in forma di minerali di ferro e può mostrare strane composizioni. In questo caso c’è chi sostiene che l’origine sia del tutto naturale, dovuta alle precipitazioni di ossido di ferro all’interno di rocce sedimentarie, anche se è difficile spiegare come avvenga il fenomeno. Rimane il fatto che non risulta siano state mai effettuate analisi approfondite sui tubi, definiti “dei Navajo” perché ne sono stati ritrovati anche in una riserva di questa tribù indiana.

In un articolo apparso il 1° luglio 1993 sul Journal of Sedimentary Research, si spiega che le strutture cilindriche della Lousiana (trovate infossate, con un diametro fino a settanta centimetri), al pari di quelle di Baigong potrebbero essere naturali, cioè calchi di radici d’alberi riempiti nel tempo da minerali ferrosi; questi tubi possono essere datati, con il metodo della termoluminescenza, a novantacinquemila anni fa.

Di là dalle ipotesi che si possono ragionevolmente formulare, la questione semmai investe la mancanza di una mappatura geologica completa dei terreni in cui sono avvenuti questi ritrovamenti, compreso quello di Baigong.

Nonostante questo, il giudizio su questo presunto OOPArt rimane severo.

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