Spezie, miscugli e pietre preziose

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Alberi d’incenso (Boswellia sacra)
a Dhofar, Oman
(Eckhard Pecher)

Le spedizioni commerciali egizie a Punt – chiamata in seguito anche Opone -, documentate durante i regni di Hatshepsout e Ramesse IV, permettevano di scambiare manufatti in rame, birra, olio, miele, vino e carne con oro, avorio, incenso, mirra e altri prodotti esotici (conchiglie, cannella, resina e legno aromatico).

La mirra e l’incenso erano certamente i prodotti più desiderabili.

Gli Egizi portarono in patria gli alberi di mirra e incenso addirittura con le radici, così da poterli trapiantare per abbellire i giardini templari; d’altronde, dalla mirra e dall’incenso si ricavavano resine aromatiche utilizzate per le cerimonie ed erano considerate un’offerta alle divinità, nella convinzione che quel profumo fosse gradito.

Le sostanze aromatiche venivano utilizzate anche per la produzione di profumi, unendo fra loro decine di essenze.

Curioso constatare che Romani e Greci credettero a lungo che la cannella fosse un prodotto autoctono della Somalia: in realtà, la spezia proveniva dallo Sri Lanka e dall’Indonesia, trasportata esclusivamente in Somalia dai commercianti indiani.

Così facendo, immaginiamo anche per altri prodotti esotici, si creavano rincari vertiginosi, poiché non era possibile commerciare direttamente con i produttori o perlomeno con coloro che provvedevano al rifornimento.

Lo scrittore Nicholas Clapp aggiunge che “[…] greci e romani sapevano ben poco (nella migliore delle ipotesi, qualche voce) della città segreta che era una delle principali fonti di olibano. Non era altro che un puntolino sulla ‘Tabula sexta Asiae’ di Claudio Tolomeo, nascosto nel deserto degli Iobaritae, gli ubariti”.

La pianta che cercavano gli Egizi, ancor oggi la più apprezzata per la resina di mirra, è la Commiphora myrrha, reperibile in Somalia, Etiopia, Sudan e penisola arabica.

La resina di mirra (unita a pistacchio, menta, cannella, incenso e ginepro) era compenente essenziale del kyphi, il preparato utilizzato nell’antico Egitto anche nelle pratiche imbalsamatorie.

Plutarco, in ‘Iside ed Osiride’, descriveva così l’essenza: “[…] un profumo composto da sedici materiali: miele, vino, uva passa, cipero, resina, mirra, legno di rosa. Si aggiungono lentisco, bitume, giunco odoroso, pazienza, ginepro, cardamomo e calamo aromatico, ma non con casualità, bensì secondo le formule indicate nei libri sacri”.

Secondo lo storico greco aveva lo scopo di “[…] favorire il sonno, aiutare a fare dei bei sogni, rilassare, spazzare via le preoccupazioni quotidiane, dare un senso di pace”.

In alcune iscrizioni impresse nel corridoio centrale del tempio di Horus, a Edfou, è fra l’altro descritta la preparazione dell’essenza tanto cara ai faraoni.

Tramite Punt arrivava in Egitto anche la pianta dell’incenso, che ancor oggi cresce spontanea in Somalia settentrionale.

Una regione in cui era possibile trovare uccelli, pavoni, babbuini e scimmie, giraffe ed elefanti, rinoceronti, pantere e giraffe, tutti animali esotici particolarmente gettonati in Egitto.

L’avorio, che si ricava dalle zanne degli elefanti della savana, era ricercato per la sua elasticità, quindi duttile per creare quei piccoli bracciali rinvenuti in un sepolcro predinastico a Mostagedda, nell’Alto Egitto, ove venivano seppelliti nomadi nubiani.

Fra l’altro, proprio qui Stephen Buckley dell’University of York, ha recentemente individuato i primi esempi di mummificazione, millecinquecento anni prima di quel che si pensasse.

Dall’Abissinia provenivano invece ebano, pietre preziose e oro, ma sempre con il tramite della terra di Punt.

Inoltre, come ricordava l’egittologo Alan Gardiner, “[…] La Nubia era sempre stata la fornitrice di ebano e avorio, come pure di pelli di leopardo, code di giraffa, piume di struzzo, scimmie […]”.

Le pelli di leopardo erano destinate ai riti funebri dei sacerdoti, mentre le piume di struzzo per creare ventagli.

Dalla Battriana – l’odierno Afghanistan – provenivano i lapislazzuli, utilizzati per fare gioielli o (in polvere) per colorare le vesti.

La regione ove era ubicata Battriana, il Badakhshan, ove insistevano gli unici giacimenti dove estrarre lapislazzuli, confinava con il subcontinente indiano.

Si potrebbe ipotizzare che anche queste pietre preziose di azzurro intenso provenissero dalla terra di Punt, grazie ai suoi collegamenti con i commercianti indiani.

Ancor oggi i maggiori importatori di lapislazzuli, la cui vendita finanzia anche i ribelli taliban, sono la Cina e l’India.

Ma è più sensato scrivere che questi lapislazzuli provenissero dalla città sumera Sippur (chiamata Tefrer o Tefrert dagli Egizi dell’epoca), come suggerito dall’egittologo Jean Pierre Marie Montet negli anni Cinquanta del secolo scorso.

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