Ta-Neteru, la Terra di Dio

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Nel libro “La mitica Terra di Punt“, pubblicato da Cerchio della Luna Editore nel 2018, tra le altre cose scrivevo anche dell’enigmatica Ta-Neteru, un luogo favoloso che secondo la tradizione degli antichi Egizi sarebbe stata la ‘Terra degli dei’ e delle loro origini. Una terra che potrebbe corrispondere pure al Paese di Punt, un regno che intratteneva rapporti commerciali con l’Egitto almeno dall’inizio del XXVII secolo a.C., durante il regno del faraone Snefru. L’egittologo Alan Gardiner, ragionando sui materiali usati dagli Egizi per la costruzione delle imbarcazioni, afferma infatti che “[…] all’epoca di Snefru della IV dinastia (2620 a.C. circa) in un solo anno arrivarono in Egitto su navi da trasporto quaranta carichi di legname [dal Libano]. Ma si sa anche di imbarcazioni costruite nella Bassa Nubia con legno di acacia per trasportare attraverso la prima cateratta il granito destinato alla costruzione della piramide di Merenre. Abbiamo pure notizia di una nave costruita sulla costa del mar Rosso per una spedizione a Pwene […] era la terra delle spezie e della mirra”. Buona giornata!

 

L’antropologo Giuseppe Sergi, vissuto tra il XIX e XX secolo, s’interrogava in uno scritto pubblicato negli Atti della Società Romana di Antropologia (vol. V, fascicolo III, 1900), “Intorno alle origini degli Egiziani” e per farlo tirava in ballo una tradizione che “hanno gli Egiziani, la quale non è antichissima, ma è tardiva, che essi siano venuti dalla terra di Punt. Quale sia questa regione, vi è stata incertezza e difficoltà a determinare, e parecchie opinioni sono nate nell’interpretare i testi egiziani. In un solo punto sono d’accordo gli Egittologi, nell’ammettere che cotesta terra di Punt stia a sud dell’Egitto, o la Somalia, regione africana, o l’Arabia meridionale, ovvero una regione che comprenda l’una e l’altra insieme”.

Ancora Sergi, facendo riferimento agli studi dell’archeologo Heinrich Karl Brugsche e dell’egittologo orientalista Wilhelm Max Müller, ricordava come i caratteri fisici ed etnografici degli abitanti di Punt fossero “africani di quel tipo comunemente detto caucasico […] della stessa stirpe cui appartengono gli Egiziani. Nel principe di Punt scolpito a Deir-el-Bahari si trova anche un carattere che è proprio dei costumi dei principi egiziani, cioè il pizzo lungo al mento. Egli porta il bumerang, che si rinviene fra gli armati dell’Egitto, e una serie di anelli alla gamba destra come ornamento”.

Se l’archeologo Brian Brown nel 1923 affermava che “le rappresentazioni dei primi Puntites, o popolo somalo, sui monumenti egizi, mostrano somiglianze sorprendenti per gli egiziani stessi”, il collega William Matthew Flinders Petrie nel 1939 gli faceva eco scrivendo che la terra di Punt era “sacra agli egiziani come la fonte della loro razza”.

Nonostante la comunanza di caratteri già evidenziata all’epoca dagli studiosi, soprattutto per dare una plausibile collocazione alla mitica terra, questi non se la sentirono di accreditare l’origine dell’Egitto al regno di Punt. È pur vero che Punt, come scrive lo storico orientalista Richard Pankhurst nel 1997, veniva chiamata dagli antichi abitanti del Nilo anche “Terra divina” o “Terra di Dio”, facendo così insorgere il dubbio che potesse trattarsi di Ta-Neteru.

Graham Hancock nel suo “Impronte degli dei” scrive che “si ammetteva e si riteneva anche apertamente che [gli Egizi] avevano un legame speciale di qualche tipo con un altro paese, un paese favoloso e lontano chiamato negli antichi testi Ta-Neteru, la terra degli dei”. Circa il posizionamento di Ta-Neteru, il giornalista scozzese, rifacendosi in buona sostanza agli studi contenuti in “The gods of the Egyptians” di Ernest Alfred Thompson Wallis Budge del 1904, aggiunge che si credeva “avesse avuto una collocazione decisamente terrestre, in un punto molto a sud dell’antico Egitto – al di là di mari e oceani – addirittura più lontano di Punt”.

Rimane quindi il dubbio, se non una sovrapposizione dovuta ad antiche cronache forse non proprio fedeli, che le due mitiche terre coincidano, anche perché l’incenso e la mirra, cioè “il cibo degli dèi”, sono tuttora coltivati sulla costa somala.

Alan Gardiner ci ricordava che “Dallo Wadi Gasus, a nord del porto di Quseir sul Mar Rosso, proviene una stele del ventottesimo anno di regno di Ammenemes II che ricorda una di queste spedizioni [a Pwene], su un’altra stele del primo anno di regno successivo, la frase ‘innalzando i suoi (del re) monumenti sulla Terra del Dio’ si riferisce indubbiamente a un’impresa analoga”.

L’egittologo si chiedeva perché l’identificazione di questo dio abbia destato così scarsa attenzione nei colleghi, considerando che l’espressione ‘Terra del Dio’ ricorre anche nelle spedizioni egizie in Asia e ognuna di esse era sempre capeggiata da un alto funzionario reale etichettato ‘guardasigilli del Dio’. Gardiner arrivava quindi alla strabiliante conclusione che “sembra probabile che la divinità in questione non fosse altri che il faraone medesimo, con l’implicita e arrogante pretesa che a lui appartenessero i tesori di tutti i paesi stranieri”.

L’archeologo Jacke Phillips suggerisce per la Terra di Dio “una posizione generalizzata a sud e ad est dell’Egitto, che include non solo Punt, ma anche aree come Irem e ‘Am. Quest’ultima è una regione accessibile sia da Punt che dalla Nubia, e molto probabilmente è la stessa raggiunta da Harkhuf durante l’Antico Regno.” Va da sé che sia Irem sia ‘Am, più di Punt, restano relegate nel mistero. In tanti hanno suggerito per Irem o Iram, citata nel Corano come Irem Dhat Al Imad (‘Irem delle Colonne’), la collocazione nell’attuale Oman, ai margini del deserto Rub al Khali, nella Penisola araba, con il nome di Ubar.

Soprannominata ‘L’Atlantide delle sabbie’, Ubar fu ‘scoperta’ più di vent’anni fa a Shisr grazie a immagini dello Space Shuttle e dati satellitari, nel punto in cui convergevano le antiche vie carovaniere del III millennio a.C. Lo scrittore Nicholas Clapp scrive che “le carovane potevano attraversare il Rub’ al Khali in meno di un mese e l’olibano [incenso] veniva poi portato a nord verso la Mesopotamia, o a ovest verso il Mar Rosso. Qui lo si caricava sulle barche dirette in Egitto, dove già nel 2800 a.C. era assai apprezzato”.

L’archeologo Juris Zarins, che ha diretto campagne di scavo a Shisr, ha però concluso che non si trattava di una città chiamata Ubar: “C’è un sacco di confusione su quella parola. Se si guardano i testi classici e le fonti storiche arabe, Ubar si riferisce ad una regione e un gruppo di persone, non a una città specifica […] È stata solo la versione medievale di Le mille e una notte, nel XIV-XV secolo, a romanzare Ubar, trasformandola in una città, piuttosto che una regione o di un popolo”.

Insomma, Ubar (o come si chiamava Shisr nell’antichità) era un’importante oasi da cui transitavano le carovane che recavano merci esotiche fino alle coste del Mar Rosso.

Per ciò che concerne ‘Am, Massimiliano Salerno, laureato in filosofia e sacra teologia, scrive che “la presa di coscienza di Israele di essere Popolo di Dio inizia con l’Esodo. Questo significato trascendente si riversa anche sul vocabolario, quando si parla del popolo di Israele si parla di ‘am, quando si parla degli altri popoli goy”.

La mitica terra di Punt, con cui commerciavano i faraoni, potrebbe anche essere Ta-Neteru, la terra divina da cui sarebbero venuti gli antenati che popolarono le rive del Nilo, ancor prima che nascesse la civiltà egizia.

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