L’Homo neanderthalensis dominò il nostro pianeta e fu l’ominide che meglio si adattò al proibitivo habitat europeo per più di duecentomila anni, fino all’incontro con l’Homo sapiens che gli fu fatale, tanto da provocarne l’estinzione trentamila anni fa. Anche Neanderthal proveniva dall’Africa, o perlomeno da lì uscì l’ominide da cui probabilmente si evolse, l’Homo heidelbergensis.
Nonostante ci siano quasi duecentomila anni di vuoto tra i reperti fossili delle due specie finora rinvenuti in Europa e in Asia, il cranio di 225000 anni fa emerso a Steinheim in Germania pare proprio costituire la sintesi tra le due specie, ma anche i resti di ventotto ominidi trovati ad Atapuerca in Spagna, un sito attestato a cinquecentomila anni fa, presentano alcune caratteristiche comuni dei due ominidi.
La conferma, a questo punto decisiva, è venuta recentemente dai biologi molecolari che, dopo aver estratto frammenti di DNA mitocondriale da ossa di Neandertal, hanno stimato per l’ominide un antenato comune con il sapiens vissuto fino a 550000 anni fa circa. Quest’antenato non può essere che l’Homo ergaster, da cui si evolsero l’Homo heidelbergensis e l’Homo erectus: secondo il biologo Svante Paabo le due specie si separarono almeno 315000 anni fa.
Le indagini sul DNA mitocondriale di alcuni esemplari di Neandertal, oltre a restituirci una specie soggetta a molteplici mutazioni genetiche nel corso dell’esistenza, indicherebbero differenze così notevoli da suggerire che questa razza non aveva nulla da spartire con la nostra, escludendo quindi l’ipotesi di ibridazione.
Eppure nel 2010 i ricercatori del Max Planck Institute for Evolutionary Antropology di Lipsia, sequenziando il genoma del Neandertal (ricavano da frammenti di DNA non contaminato proveniente soprattutto dalle ossa fossili di tre femmine rinvenute in un anfratto della Croazia) e confrontandolo con quello di cinque individui di sapiens attuali, hanno scoperto che le specie si sono incrociate: lo dimostra la presenza di una minima variabile percentuale di DNA identico. L’unica eccezione pare essere negli africani, con un patrimonio genetico che non ha nulla della razza estinta. Secondo Svante Paabo, direttore del dipartimento sull’evoluzione dell’istituto, le due specie “s’incrociarono in Medio Oriente fra 100.000 e 50.000 anni fa”, prima che i sapiens si diffondessero in Asia e Melanesia (una regione dell’Oceania).
Eppure lo scheletro di bambino rinvenuto nel 1998 a Legar Velho in Portogallo, che presenta caratteristiche anatomiche intermedie tra le due specie, dimostrerebbe un’ibridazione anche più recente. Gli studi genetici sul fanciullo, che fu seppellito avvolto in una pelle dipinta con ocra 24500 anni fa (in un’epoca in cui il Neandertal doveva già essere estinto da migliaia di anni), suggeriscono un padre Neandertal e una madre sapiens.
Il professor Joao Zilhao dell’Università di Barcellona, in uno studio pubblicato nel 2002 sulle pagine di Athena Review, ci ricorda però che “[…] i risultati del DNA contribuiscono poco alla nostra comprensione di ciò che è accaduto in quel periodo critico tra 50.000 e 25.000 anni fa, durante il quale il fenotipo di Neanderthal è scomparso”.
Gli esemplari di Neandertal rinvenuti soprattutto in Spagna, Portogallo e Francia, indicano che proprio in quest’area geografica avvennero gli ultimi importanti stanziamenti prima dell’estinzione. L’ipotesi della selezione naturale, pur avanzata in ambito scientifico, non chiarisce la scomparsa dell’ominide. Rimane il fatto come il movimento migratorio dei sapiens abbia pesantemente influito sulla sorte dei neandertaliani, tanto da costringerli ad abbandonare gli insediamenti precostituiti e cercare rifugio in zone sempre più aspre e inaccessibili.
Ron Pinhasi, in un recente studio pubblicato sulle pagine di PNAS, propone di retrodatare a 39000 anni fa (anziché 30000 anni fa) l’estinzione del Neandertal dalla regione settentrionale del Caucaso, in perfetta corrispondenza con l’arrivo dell’uomo moderno: nel sito archeologico di Mezmaiskaya Cave sono stati infatti rinvenuti gli ultimi probabili resti del nostro predecessore.
Neandertal era in fuga non solo verso sud ovest ma anche a nord, come suggerisce Ludovid Slimak dopo la scoperta in prossimità del circolo polare (a Byzovaya, Urali) di centinaia di strumenti litici dei neandertaliani, databili tra 31000 e 34000 anni fa, impiegati nella caccia ai mammut.
Poche migliaia di individui, il cui destino appariva già segnato, perderanno la battaglia per la sopravvivenza dopo aver abilmente domato, per migliaia d’anni, gli inquieti elementi della natura.
Gli incroci tra Homo sapiens e almeno due altre specie (Neandertal e Denisova) possono essere stati favoriti dalla permanenza in rifugi condivisi durante l’ultima era glaciale. È quel che pensano Chris Stringer del Natural History Museum di Londra e John Stewart della Bournemouth University in uno studio apparso su Science nel 2013, in cui discutono anche di migrazioni e interazioni umane avvenute nella parte meridionale dell’Eurasia.