Il problema di Seth

Condividi l'articolo

Fabio Marino disquisisce sull’importante figura del dio egiziano Seth, il cui antico culto prese origine a Naqada. La fine del periodo predinastico, con l’unificazione dell’Alto col Basso Egitto, ha senz’altro sancito la predominanza di Horus nei suoi confronti. D’altronde Seth, come narra il mito, elaborato definitivamente durante il Nuovo Regno, divenne l’avversario di Osiride e Horus. L’autore, in questo testo, ragiona soprattutto sulle caratteristiche iconografiche di Seth, che sembra sfuggire a qualsiasi identificazione, e appare, anche nella nascita e distribuzione del culto, come un’anomalia. Pure la sua origine rimane controversa. Nonostante lo studio sia considerevolmente lungo, ho preferito pubblicarlo integralmente, piuttosto che proporlo in più parti, per non pregiudicarne il senso e la scorrevolezza.

 

Figura 1 – Basso e Alto Egitto (da B. Kemp)

Nel variegato pantheon egizio, merita un posto particolare e quasi a sé il noto Seth, dio di Ombos (Nubt), oggi presso il villaggio di Naqada. Considerato spesso, a torto, l’antagonista per eccellenza, rappresenta in realtà una divinità fondamentale anche, paradossalmente, in senso positivo: basti ricordare che nel Predinastico non aveva affatto le connotazioni negative che assunse nel corso del Secondo Periodo Intermedio e nel Nuovo Regno, e che almeno due faraoni (entrambi di origine meridionale e quindi altoegizia) ne presero il nome: Seti infatti significa “Figlio (Protetto da) di Seth1, mentre Ramses è composto da Ra-M-Seth1, nel significato di “Rā vive in armonia con Seth“. Il che proprio nel periodo di maggior splendore del mito osiriaco dimostra l’esistenza del tentativo di mantenere una tolleranza di culto fuori dal comune, tenuto conto che Seth era di fatto il dio degli invasori Hyksos, (“Seth di Avaris”, viene talora definito, e Avaris fu la capitale egizia sotto la dominazione degli Hyksos), essendo da questi ultimi particolarmente apprezzato e adorato. Una caratteristica spesso sottovalutata di Seth è la sua origine certamente altoegizia, verosimilmente naqadiana2, il che provoca una contraddizione storica e storiografica solitamente ignorata, a qualsiasi livello. Normalmente, infatti, l’origine dello Stato faraonico è vista come la prevalenza dell’Alto Egitto ai danni del Basso Egitto (fig. 1).

Ora, è noto che il periodo di Naqada con le sue distinzioni in Naqada I, II e III (e relative sotto-divisioni) ha rappresentato l’egemonia culturale e fors’anche militare che ha condotto all’unificazione dell’Egitto. Diventa dunque poco spiegabile come sia accaduto che il dio nazionale di quella cultura, largamente diffusa, sia stato surclassato da uno degli Horus (ne esistono almeno tre) nell’importanza teologica egizia. Il dio di Nekhen/Hierakonpolis è diventato la divinità più importante del pantheon di Kemet, sebbene sia possibile addirittura che i Nekheniti (gli autentici “Seguaci di Horus”) non siano stati gli artefici ultimi dell’unificazione e sebbene Horus venisse adorato principalmente nel Basso Egitto.  Per quel che ne so, l’unico a prospettare -e solo marginalmente- un’origine diversa dello Stato unitario è Kemp3, il quale ipotizza quasi di sfuggita che gli unificatori furono proprio i bassoegizi, in netto contrasto con la visione corrente. Non credo sia un caso, però, se un altro nome con cui erano conosciuti i Seguaci di Horus è “Anime di Pe”: Pe è la città di Buto, “capitale” del Basso Egitto e principale centro culturale del medesimo, insieme all’odierna Maadi.

Figura 2 – I Tre Regni dell’Alto Egitto secondo Kemp 4

Così scrive Kemp nel suo “Antico Egitto – Anatomia di una civiltà” (Routledge ed., 2002): “Parecchie generazioni di studiosi sono state attratte dall’ipotesi secondo cui il mito egizio  [in genere] maschera una fase storica della formazione dello Stato. Precedentemente alla I Dinastia sono stati spesso identificati due Regni, ognuno con un ‘dio nazionale’: il Basso Egitto con Horus, l’Alto Egitto sotto Seth. In un momento cruciale il Basso Egitto sconfisse il Sud e stabilì un regno unitario, anche se è possibile che questo sia stato di vita breve, dato che esistono altre evidenze le quali suggeriscono che fu la I Dinastia (proveniente da sud) ad avviare il processo di unificazione3”. Barry Kemp dà comunque per scontata l’esistenza di almeno tre Protoregni nell’area dell’Alto Egitto (fig. 2)

Alcuni dati sono utili per una riflessione ragionata: a Naqada, sede del primo e più antico culto di Seth, non esiste nulla più che un modesto tempio dedicato alla divinità; contemporaneamente, cinque dei venti nòmi del Basso Egitto hanno come divinità tutelare Horus (e uno solo, nel Delta Orientale, Seth), mentre soltanto due dei ventidue nòmi dell’Egitto Meridionale (Alto Egitto) vedono Horus come dio principale, e altrettanti Seth. Potrebbero esserci un paio di spiegazioni per questi fatti: una è che l’ipotesi di Kemp sia esatta, e il percorso unificatore è stato in realtà inverso rispetto a quello comunemente accreditato (non da Sud a Nord, ma da Nord a Sud); un’altra è che l’attuale spiegazione sia corretta, ma siano avvenute forti concessioni teologiche del Sud vincitore al Nord sconfitto. Gardiner5, seguendo le scoperte ormai datate di Quibell, sostiene che esistevano certamente due regni preunitari, quello di Nekhen (Alto Egitto) e quello di Pe (Basso Egitto); conferma che (e in questo senso rafforza al contrario le considerazioni sulla distribuzione territoriale di Horus e Seth) esistono documenti verosimilmente risalenti nell’originale al XXVI sec. a.C., i quali citano esplicitamente: “1) – Anime di Pe, Seguaci di Horus (Shemsu-Hor), come Sovrani del Basso Egitto; 2) – Anime di Nekhen, Seguaci di Horus come Sovrani dell’Alto Egitto6”.

Fig. 3 – i simboli di Basso e Alto Egitto (dal sito http://animamundi-sciarada.blogspot.it)

Lo stesso eminente studioso, poi, rileva come il titolo regale completo (nswt-bity)  sia composto con il geroglifico del giunco (simbolo dell’Alto Egitto) posto sempre prima di quello dell’ape (simbolo del Basso Egitto), il che, a suo giudizio, esprime in sé il concetto di predominio del primo sul secondo 7. Dobbiamo però rilevare che non sempre questo è vero: su una delle colonne di Karnak, per esempio, si vede un ankh in mezzo al nswt-bity in cui però viene prima (sia da sinistra che da destra) il simbolo dell’ape (fig. 3).

Anche Natale Barca ipotizza che il mito (specialmente quello osiriaco, che però sappiamo avere un’origine probabilmente tarda – v. Tracce d’eternità nr. 28, “Gli errori di Orione”, terza parte) rifletta, nei suoi conosciuti contorsionismi, fasi storiche alterne, concluse con la vittoria dell’Alto Egitto sul Basso, e accenna anche alla possibilità di un’invasione8.

Va ricordato, infine, che la comune definizione dei primi cinque secoli di storia dello Stato egizio a partire dalla Dinastia 0 (secondo alcuni, anche dalla Dinastia 00) e fino al termine della II Dinastia è quella di “monarchia thinita”, e che Thinis, la prima capitale, sebbene prossima ad Abydos non è stata finora ritrovata: lascio al Lettore le considerazioni.

Non ci interessa, in questa sede, rievocare ancora una volta il mito “compiuto” in cui Seth diventò l’avversario di Osiride e Horus9: si tratta di storie troppo note per considerarle sconosciute, e la cui sistematizzazione, avvenuta nel Nuovo Regno, è troppo tarda per i nostri scopi. Ci occuperemo quindi degli aspetti meno divulgati di questo Nume, che condurranno a riflessioni diverse a quelle a cui siamo stati abituati, e ci introdurranno a una dimensione certamente poco approfondita del dio. A cominciare dal nome stesso, il cui significato è assolutamente ignoto, come la sua pronuncia10. Quest’ultima è stata ricostruita a partire dall’occorrenza fonetica nelle iscrizioni (anche molto antiche) del termine “swt“, probabilmente da leggere come “*Sūta”; il termine attuale deriva dalle epigrafi copte (molto tarde) che lo indicano come “Sēt”, per l’appunto.

Figura 4 – Statuetta in avorio raffigurante Seth (Naqada I, ca. 3800 a.C)

Varianti meno comuni sono “Sutekh”, “Setesh” e Suty”. Si tratta di una divinità primordiale, nel senso che -come Min, di cui abbiamo già trattato e che condivide con lui l’origine “clamorosamente” altoegizia- il suo culto risale certamente a un periodo autenticamente preistorico, anteriore anche al Predinastico, e una delle sue prime rappresentazioni note è una statuetta d’avorio del  Naqada I (4000-3500 a.C.).

Figura 5 – particolare della testa di mazza di Scorpione II (dinastia 0, circa 3.300 a.C.)

Lo si ritrova anche sulla mazza del re Horo Scorpione II, sotto forma di quello che, in fondo, è il tema di questo articolo: il cosiddetto “animale di Seth” (fig. 4).

Questi primi esempi iconografici sono già molto significativi, e vi si riconoscono i motivi fondamentali (e ad oggi irrisolti) dell’iconografia di Seth. Gli dèi egizi, infatti, appartengono grossolanamente a tre categorie, come indicato anche da Petrie11:

1 – divinità teriomorfe, rappresentate come animali (ne sono esempi Anubi, Khnum, Wepwawet  – fig. 6);

Figura 6 – il dio Anubi, rappresentato come sciacallo

2 – divinità antropomorfe, come Ptah o Amon (fig. 7);

Figura 7 – il dio Ptah

3 –  divinità rappresentate in parte come animali e in parte come uomini (Thot con la testa di ibis, Horus con la testa di falco – figura 8).

Figura 8 – il notissimo dio Horus, il dio-falco

Bisogna notare che la forma ibrida più frequente è quella che associa un corpo umano e una testa animale. È interessante inoltre notare che gli animali che compaiono in epoca tarda, come il cavallo o il gallo, e gli animali preistorici dell’ambiente egizio quali giraffa, elefante, eccetera, non sono entrati a far parte del repertorio animalistico divino12.

Molto spesso, le divinità teriomorfe erano indifferentemente raffigurate sia nella forma animale “pura”, sia in quella “mista”: si ritrovano così infinite rappresentazioni di Sobek il coccodrillo, Horus il falco, Anubi/Wepwawet lo sciacallo nelle forme che un po’ tutti conoscono, ibride o no. Naturalmente, Seth non fa eccezione, e accanto alle immagini più antiche, in cui è generalmente ritratto come “animale di Seth” (fig. 9) troviamo, specialmente successivamente, immagini ibride (fig. 10).

Figura 9 – una delle più antiche raffigurazioni dell’ “animale di Seth”

Figura 10 – Seth in parte animale, in parte uomo

A differenza di quasi tutte le altre divinità egizie, che sono abbastanza facilmente identificabili (come è evidente nel caso degli sciacalli/cani del deserto Anubi e Wepwawet, o del già citato Horus-falco), Seth sfugge a qualsiasi identificazione, e appare, anche nell’origine e distribuzione del culto originario, come un’anomalia.

La sua stessa origine è ancora controversa. Identificato quasi certamente con il libico dio Ash, possiede tutte le caratteristiche di quello che oggi chiameremmo “trickster”: qualità positive e difetti imperdonabili; rappresenta il Caos e il suo stesso superamento; è la divinità del deserto, ma anche quella della tempesta.

Così lo descrivono Tosi e Ruo Redda13: “Una figura molto vicina alle grandi divinità asiatiche dell’uragano: Teshub, Enlil, Ishkur e Baal, è quella di Seth, che porta il titolo significativo di “Signore della tempesta”. Venerato nell’età protostorica in tutto l’Egitto da una parte della popolazione, forse di origine asiatica, Seth divenne più tardi il rivale di Horo, che rappresentava quella parte della popolazione che prese il potere in età storica. Seth e Horo erano infatti le due divinità che simboleggiavano tutto l’Egitto, non nelle due componenti geografiche, bensì nelle due componenti etniche. Non a caso tutte le popolazioni asiatiche che in seguito si insediarono in Egitto, a cominciare dagli Hyksos, ebbero in Seth la loro principale divinità. Il persistente sentimento di ostilità che gli egizi provavano nei riguardi di questo dio “straniero” fece sì che Seth assumesse il ruolo di dio malvagio nella leggenda di Osiri, Seth, fratello di Osiri, Iside e Nephti secondo il mito, e sposo di Nephti, uccise per gelosia il fratello Osiri e ne fece a pezzi il cadavere. Per la sua malvagità era ritenuto il dio della negatività e del male, la personificazione della violenza e della malafede. Seth era considerato il dio della tempesta, del cielo nuvoloso; il tuono era la sua voce quando egli urlava nel cielo e la terra tremava, egli dava ordini alle nubi scure e scatenava le burrasche del vento del sud. Un suo epiteto era: “Signore del cielo” … aveva gli occhi neri per il suo rapporto con l’oscurità. Seth, secondo altri studiosi, era raffigurato invece con gli occhi rossi, colore che gli egizi detestavano.“ (il grassetto è mio).

Seppur glissando, non posso non rilevare un paio di caratteri (“Signore del Cielo…dio della tempesta… il tuono era la sua voce…”) che non mi fanno pensare solo al mitico Thor, ma a una divinità che proprio come dio della tempesta si assicurò il favore esclusivo del popolo d Israele. Comunque, Seth era considerato anche patrono della Libia e delle regioni occidentali in genere, nonché delle anomalie. Nell’Antico Regno la sua importanza restò notevolissima, e viene citato varie volte nei Testi delle Piramidi.

Scrive da parte sua Petrie14: “Seth o Setesh era il dio degli abitanti preistorici [dell’Egitto] prima dell’avvento di Horus. Egli è solitamente raffigurato con la testa di un animale favoloso, con strane orecchie verticali e squadrate e un naso che ne allunga fortemente il muso. Quando viene rappresentato in forma soltanto animale ha una lunga coda in posizione verticale eretta. Nella II Dinastia sembra chiara la rassomiglianza con una tipologia di canide e prevale la forma teriomorfa; ma in seguito la forma umana con testa di animale ha prevalso. Il suo culto ha subito grandi fluttuazioni. In un primo momento è stato il grande dio di tutto l’Egitto; tuttavia i suoi adoratori furono a poco a poco cacciati dai seguaci di Horus, come descritto in una storia semi-mitica. D’improvviso ricompare come divinità di grande importanza alla fine della II Dinastia (NdA: durante i regni di Peribsen e di Khasekhemwy); nelle formule per i morti più antiche sembra essere onorato allo stesso modo di Horus” (il grassetto è mio).

Seth è comunque un elemento della creazione, e tale rimane anche nel Nuovo Regno. Un elemento disordinato, certo, perché rappresenta pure il vento bruciante che spazza il deserto, l’eterno attaccabrighe rivale di Horus, ma che ha sempre un posto d’onore nel consesso degli dei. Infatti la sua energia cieca e distruttrice può essere usata per la causa del bene: ad esempio, per combattere il mostro Apopis, Rā fa ricorso a Seth.

Figura 11 – la divinità di origine libica Ash (sigillo di Peribsen, 2.900 a.C. circa)

Il problema su chi (o cosa) fosse Seth e da che cosa fosse rappresentato nell’iconografia viene affrontato in un interessante lavoro di Rachel Mayoh, dell’Università di Swansea. Questa giovane studentessa ha prodotto un breve saggio15, in cui propone alcune idee piuttosto interessanti. In primo luogo, il frequente riferimento, in relazione a Seth, alle località Tjehenu e Tjemehu (rispettivamente odierno Deserto Occidentale e Sud-Occidentale) le consente di completare il concetto, risalente al grande classico di Te Velde16, di un Seth “dio della Confusione”, identificandolo con il libico “Ash” o “Sha” (in figura 11 la divinità indossa addirittura la Corona  Bianca dell’Alto Egitto…).

Seth e Ash (specificamente Signore delle Oasi) sarebbero la rappresentazione della stessa divinità, condividendo agli occhi degli Egizi “D.O.C.” la caratteristica di essere dèi stranieri e degli stranieri. Ma di quali stranieri? Che si trattasse, all’inizio dell’epoca Hyksos (1.550 a.C. circa), dei Re Pastori è scontato. Tuttavia, il riferimento frequente nella scarsa letteratura del III millennio a.C. e nell’iconografia del IV ai Rekhyt in relazione a Seth/Ash fa pensare chiaramente a generici e misteriosi “Altri”, che non possono essere né gli indigeni del Delta Orientale, né i Libici del Tjehenu e del Tjemehu, ben conosciuti dagli abitanti della Valle del Nilo. La Mayoh sottolinea che, a suo avviso, gli stessi abitanti dell’Alto Egitto fossero “stranieri”17, provenienti da una patria diversa dall’Egitto, e perciò invisi ai veri autoctoni.

Fig. 12 – l’uccello rekhyt – Tempio di Amon, Karnak, circa 1250 a.C.

Nemmeno si può sorvolare sul fatto che i Rekhyt facessero parte dei Nove Archi18 (la suddivisione delle razze primordiali secondo gli Egizi), e neppure sulla “strana” raffigurazione con cui i Nilotici li identificavano: la pavoncella. Questo volatile (Vanellus vanellus) per un periodo di oltre tremila anni è stato abbondantemente rappresentato nell’arte e  nei geroglifici egizi. La pavoncella può essere facilmente identificata per il suo caratteristico becco appuntito, testa arrotondata, la coda lunga squadrata e soprattutto per la lunga cresta sulla testa19 (fig. 12).

Cosa in effetti intendevano simboleggiare  gli Egizi del Predinastico con questa raffigurazione? Chi erano “Gli Altri”? Che la questione del significato originario del termine non possa essere liquidata agevolmente è dimostrato da questo bassorilievo  (fig. 13) in cui il re stesso è raffigurato come rekhyt, il che, naturalmente, porta a presumere che il termine potesse avere un significato diverso da quello attualmente attribuito.

Fig. 13 – Ramsete III come persona-rekhyt, Medinet Habu, 1.200 a.C. circa

Questa apparente digressione è utile, se solo si tiene presente che l’origine di “rekhyt” e quella dell’animale di Seth sono probabilmente coeve, e ben più antiche di quel che si può immaginare.

Anche in questo caso, bisogna chiedersi quale sia dunque l’animale. Quando viene raffigurato integralmente, ha – come detto – un lungo muso curvo, coda lunga sottile con ciuffi di pelo ritti, spesso a forma di freccia invertita. Mai identificato con certezza, è stato interpretato di volta in volta come uno sciacallo stilizzato, un asino, una capra, una razza di scimmia o un fennec (la volpe del deserto); Te Velde nel suo insuperato saggio16 scrive: “L’animale di Seth è stato collegato con l’asino, con l’antilope oryx, il levriero, il minuscolo gerboa [NdA: un roditore di 5cm tipico del deserto sahariano], ma anche con il grande cammello, l’okapi, il topo a muso lungo, l’oritteropo, la giraffa oppure una sorta di maiale o cinghiale. A.S. Jensen ha richiamato l’attenzione sul fatto che è stato anche considerato come una lepre, uno sciacallo, un tapiro, il pesce-elefante  a lungo muso del Nilo”.

Fig. 14 – l’oritteropo in una stampa d’epoca

Sebbene l’oritteropo (fig. 14) sia stato per lungo tempo riguardato come il candidato ideale (le sue abitudini sono prevalentemente notturne, e ben si adattano a incarnare un’entità maligna, anche perché nell’oscurità i suoi occhi danno l’impressione di essere fiammeggianti, e gli occhi rossi quale attributo del Male sono un espediente figurativo ancor oggi spesso usato per rendere malvagio un personaggio) l’identificazione appare oggi difficile, per via della coda priva dei ciuffi di peli, per il muso tubolare ma dritto, per il corpo tozzo.

Abbiamo anche visto sopra che la giraffa non è mai entrata nel mondo delle rappresentazioni egizie, e allo stesso modo seguendo il criterio di Traunecker20 potremmo eliminare il cammello; come potrebbero essere fuori concorso animali come il fennec o una qualche scimmia per le specificità anatomiche dell’animale.

Fig. 15 – Seth, statuetta in arenaria rosa, Naqada II, circa 3.450 a.C.

Dei candidati in lizza rimangono lo sciacallo, che però -per quanto stilizzato e caratterizzato- non regge il paragone con gli sciacalli accertati Anubi e Wepwawet; l’asino, la capra e assimilati non convincono per via degli aspetti anatomici, e perché è dimostrato che gli Egizi sapessero riprodurli perfettamente. Non credo possibile si tratti di una lepre, perché l’antichissima statuetta dell’Ashmoleanum Museum (fig. 15) risalente al Naqada II (circa 3.450 a.C.) non sembra affatto compatibile con una lepre per molti particolari, non ultimo le zampe anteriori apparentemente più lunghe delle posteriori.

Fig. 16 – petroglifo dall’oasi di Dakhleh, datazione sconosciuta (VI-IV millennio a.C.?)

Esiste anche un petroglifo in pieno deserto, nell’oasi di Dakhleh21 (situata a circa 350 chilometri dalla Valle del Nilo) in cui una mano ignota in epoca imprecisata ha sovraimpresso a un graffito preesistente e raffigurante un branco di giraffe quello che, a tutti gli effetti, sembra un animale di Seth, anche in questo caso provvisto di zampe anteriori apparentemente più lunghe delle posteriori (fig. 16).

Figura 17 – due esemplari di okapi

In questo caso, è suggestiva la somiglianza di primo acchito con l’okapi, un giraffide africano ritenuto estinto fino all’inizio del secolo scorso. Tuttavia, nonostante siano ben visibili nel graffito le striature zebrate dell’animale, queste sono in realtà presenti posteriormente nell’okapi, e non anteriormente (fig. 17)

Non manca nemmeno una raffigurazione di Seth in un’altra oasi del Deserto Occidentale, posta anch’essa a notevole distanza dal Nilo (fig. 18)

 

Figura 18 – Seth (a destra) nell’oasi di Khargha (Deserto Occidentale)

Un’ipotesi interessante è stata formulata da Ken Moss nel numero di Agosto/Settembre 2009 della rivista “Ancient Egypt22. Leggiamo l’idea di Moss: “Le rappresentazioni più antiche dell’animale di Seth sono chiaramente compatibili con quelle di un cane, ma con due caratteristiche uniche: una coda eretta e orecchie erette squadrate. Il corpo dell’animale di Seth ha infatti sempre ricordato  quello di un cane, con le zampe, e anche la testa era simile a quella di un cane, almeno all’inizio. È stato solo nel corso del tempo che la testa è diventata esageratamente lunga e stretta, con un muso girato verso il basso (NdA: il che non è del tutto esatto, si veda la fig. 14). Nessun animale ha mai avuto orecchie naturalmente a punta squadrata, ma era proprio questa caratteristica che ha portato alla mia scoperta fortuita del vero animale di Seth. Mentre ero immerso nella caccia al dio Seth, mi è capitato di guardare un programma del National Geographic intitolato ‘I Bracchi di Arabia’, e là sullo schermo ho visto un animale di Seth vivente: un cane snello, con una coda eretta e pelosa e le orecchie erette quadrate. La natura delle orecchie quadrate è stata spiegata dal narratore: le orecchie dei cani erano state tagliate, cioè le punte delle orecchie erano state tagliate dai loro proprietari. Si tratta di una tradizione antica, ancora effettuata in Siria e altrove, che viene seguita nella convinzione che aiuterebbe i cani ad evitare di impigliarsi nei rami degli arbusti mentre giocano. La razza è la magnifica Saluki, la quintessenza  del levriero arabo dei beduini”.

Ma perché le orecchie e la coda dell’animale di Seth sono quasi sempre rivolte in alto? Secondo Moss, le osservazioni attente dei Saluki rivelano che quando corrono, le orecchie si alzano quasi in volo, come fa la coda: “Il motivo della posizione eretta sia della coda che delle orecchie dell’animale di Seth è anche ormai chiaro: il cane è stato ritratto mentre sta cacciando, piuttosto che durante il riposo come la maggior parte dei cani o delle divinità canine (Anubis, per esempio, che era un cane secondo alcuni generato da Seth stesso). Questo si sposa perfettamente proprio con il dio Seth, il Dio onnipotente dell’azione, un cacciatore e nemico dinamico e perpetuo del serpente Apep [Apophis]” (fig. 19).

Fig. 19 – un cane di razza Saluki mentre corre

In effetti, la spiegazione proposta da Moss e ripresa, fra gli altri, da Joan Lansberry23 appare abbastanza convincente, e la foto a fianco potrebbe chiudere la partita: la razza Saluki è probabilmente quella più antica ancora esistente; risalendo con certezza a oltre settemila anni fa, potrebbe davvero essere stata la base che ha ispirato l’animale di Seth.

Tuttavia, ci sono un paio di alternative che nessuno ha considerato, e che si riflettono (sebbene gli Autori che stiamo per citare ne siano inconsapevoli) in alcuni testi di Ricercatori “eretici”.

Gert Muller è un tenace assertore delle origini “nere” di buona parte delle Civiltà antiche. In due suoi brevi saggi24, 25 sostanzialmente afferma che le origini predinastiche e culturali della Civiltà egizia sarebbero da ricercare nella Nubia (l’odierno Sudan) e nel Corno d’Africa. Un’idea assolutamente interessante, sebbene non possa essere discussa in questa sede.

Fig. 20 – il licaone (Lycaon pictus)

Quello che però è pertinente è l’osservazione che a) – la piena del Nilo effettivamente dipende dalle piogge primaverili sull’altopiano del lago Tana, in Etiopia; b) – l’Etiopia – e in misura minore la fascia equatoriale africana, nonché una lunga fascia longitudinale che arriva fino al Sudafrica – è l’habitat principale del licaone (fig. 20), un animale che indubbiamente presenta una notevole somiglianza con il buon Seth. Con la divinità, tra l’altro, condivide un’inconsueta ferocia, e un aspetto “ambivalente”, potendo apparire di volta in volta come un bravo cagnolino, oppure uno spietato predatore. Quando è in lotta, poi, la forma delle sue orecchie (già molto simili a quelle del dio) diviene quasi squadrata, e la coda è eretta, come in fig. 21

Fig. 21 – licaoni in lotta. Si notino le orecchie e la coda dell’esemplare in basso.

Il piovoso habitat di questo animale potrebbe anche giustificare, evidentemente, le caratteristiche sethiane relative a piogge e tempeste, poco consone invece a zone aride come il Deserto Egiziano. Quasi a conferma dell’importanza di un ambiente piovoso per ipotesi di questo genere, Simone Barcelli nel suo libro “La mitica Terra di Punt – Sulle tracce del misterioso regno che commerciava con i Faraoni26, in una comunicazione personale scrive: “Jacke Phillips della School of Oriental and African Studies in London spiega che ‘… questa connessione tra le piogge del sud e la inondazioni fuori stagione del Nilo (anche nel nord, lontano dalla sorgente) è stata un importante osservazione, e ancora una volta ci fornisce qualche indizio della posizione geografica di Punt, almeno per quanto è stato percepito… le informazioni suggeriscono fortemente una zona generalizzata all’interno della zona costiera orientale del moderno Sudan, a sud della moderna Port Sudan, Eritrea, e più a nord dell’Etiopia, o un po’ più all’interno.’ Il Nilo ha origine dall’incontro in Sudan del Nilo Bianco con il Nilo Azzurro. Quest’ultimo nasce sull’altopiano etiopico dal lago Tana. La portata irregolare delle acque del Nilo Azzurro, nella stagione delle piogge, determina le piene annuali del Nilo (fig. 22). È possibile che i cieli che piovvero sulla montagna di Punt (…) siano quelli sul lago Tana”, e più avanti aggiunge: “L’unico indizio, in tal senso, resta quello dei cieli che piovvero sulla montagna di Punt, come recita l’iscrizione sulla stele trovata a Tall al-Dafana, l’antica Daphnae di Psammetico I della XXVI dinastia: una descrizione perfetta della portata irregolare delle acque del Nilo Azzurro, che nella stagione delle piogge determina le piene annuali del Nilo. Le già citate parole di Jacke Phillips della School of Oriental and African Studies in London sulla posizione geografica da assegnare a Punt in base alle informazioni contenute nell’iscrizione (‘…suggeriscono fortemente una zona generalizzata all’interno della zona costiera orientale del moderno Sudan, a sud della moderna Port Sudan, Eritrea, e più a nord dell’Etiopia, o un po’ più all’interno…’), sembrano cadere a pennello per confermare, in qualche modo, questa ipotesi” (il grassetto è mio).

Figura 22 – corso del Nilo Azzurro e altopiano del Tana (cortesia di S. Barcelli)

Come si vede, innumerevoli sono i potenziali accenni ai “poteri di Seth”: piogge, montagne, cieli, tempeste, e tutti in apparente relazione ai territori a Sud-Est della Valle del Nilo. Sembra innegabile che esista una effettiva connessione fra l’ampia zona del Corno d’Africa (ma non solo) e la civiltà della Valle del Nilo.

Vedremo fra poco che esiste anche un’alternativa, forse ancora più stimolante, che collega Seth (e gli Egizi) all’Africa Orientale, anche se gli indizi fin qui riportati (piovosità, resti archeologici, considerazioni naturalistiche e non ultima la possibile collocazione della favolosa Punt: che se ne debba rivedere il significato?) mi sembrano fortemente suggestivi, e adatti a rivoluzionare la storia dell’Egitto. Non dimentichiamo, infatti, quanto riportano Rohl27 e Wilkinson28 a proposito delle scoperte di Winkler nel Deserto Orientale.

Fig. 23 – il percorso fra Ciad e Nabta Playa

L’antropologo Clyde Winters29, 30, invece, è un seguace accanito delle teorie “nerocentriche” di Anta Diop31, 32, 33. Un suo saggio molto interessante, seppur viziato da pregiudizi ideologici e da scarsi – ma non inesistenti! – riscontri oggettivi, è “Before Egypt: The Maa Confederation, Africa’s First Civilization”. In esso, l’Autore riprende i temi già trattati in “Egyptian Language: The Mountains of the Moon, Niger-Congo Speakers and the Origin of Egypt”.

Molto brevemente, Winters sostiene che le radici dell’Egitto (predinastico e faraonico) dovrebbero essere ricercate in una ancora sfuggente “Confederazione di Maa”, il cui epicentro (vera culla culturale e linguistica della Valle del Nilo) si trovava in una vasta area compresa fra il Niger e il Ciad.

Curiosamente (ma non troppo), questa ipotesi sembra quasi essere suffragata dall’esistenza di monumenti come quelli di Nabta Playa, posti praticamente sul percorso Ciad-Valle del Nilo (fig. 23).

Ebbene, l’okapi citato più sopra (che a prescindere dalle obiezioni presenta certamente parecchie analogie con l’animale di Seth) è oggigiorno confinato nelle foreste pluviali del Congo, ma si ritiene che il suo ambiente naturale fosse, fino a circa 8-10.000 anni fa, ben più esteso, per via del clima più umido, e raggiungesse il confine sud-occidentale attuale dell’Egitto. In pratica, gli ipotetici nomadi che trasferirono la propria civiltà a Nabta Playa e di lì – verosimilmente – nella Valle del Nilo conoscevano perfettamente quel parente della giraffa, e lo adoravano come rappresentazione di una divinità, evolutasi poi in Seth. Una concordanza notevole, dunque, con le argomentazioni esplicite della Mayoh su riportate (gli altoegizi “stranieri”), e con quelle implicitamente espresse dallo scopritore stesso di Nabta, Wendorf34.

Fig. 24 – ricostruzione dell’Homalodotherium

Riassumendo, abbiamo due direttrici ipotetiche di sviluppo endoafricano della civiltà pre-egiziana, una da Sud-Ovest, l’altra da Sud-Est; in entrambe si rinviene la presenza di animali che potrebbero effettivamente aver ispirato il dio evolutosi in Seth. Esiste però una terza possibilità, se vogliamo più affascinante. Non intendo riferirmi ai connotati quasi clipeologici rivestiti da Seth, che pure sarebbero meritevoli di approfondimento. Per inciso, alcuni di essi a me personalmente richiamano episodi di cui ho già trattato, quali la visione di Isaia (“Isaia: un caso clipeologico?”). La possibilità a cui mi riferisco è un’altra, e si ricollega direttamente alla criptozoologia: ci sono, anche se estinti, animali che possano somigliare ugualmente o di più all’animale di Seth? A mio giudizio sì: si tratta in primo luogo dell’Homalodotherium (fig. 24) , stretto parente del toxodonte misteriosamente raffigurato anche sul monolito di Tiahuanaco.

Con il suo muso piegato verso il basso, la corta proboscide, le orecchie probabilmente ritte e squadrate, gli arti posteriori più corti degli anteriori (cfr. fig. 15) e la coda relativamente lunga, forse con ciuffo di peli finale questo ungulato richiama fortemente l’animale di Seth; non si può escludere, poi, che possedesse un verso molto profondo, assimilabile al tuono. Sfortunatamente, questo animale e il suo parente più noto avevano la pessima abitudine di essere autoctoni del Sudamerica, per cui la loro identificazione con Seth (per quanto forse la più suggestiva, a anche per via delle notevoli dimensioni di quella specie) va esclusa. Resta però un’ulteriore possibilità, e cioè che l’animale di Seth sia stato ispirato da un altro colosso della fine del Terziario e dell’inizio del Quaternario: i calicoteri.

Fig. 25 – una ricostruzione del Chalicotherium

Non è mia abitudine citare Wikipedia, ma per la descrizione di questo animale (fig. 25) farò un’eccezione: “L’aspetto di questi animali era davvero curioso: si pensi a un grande erbivoro fornito di lunghe zampe anteriori, tre artigli robustissimi su ciascuna zampa, una testa simile a quella di un cavallo e l’aspetto pendente di una iena”. Decisamente, sarebbe difficile descrivere meglio di così l’animale di Seth, visto che una delle teorie al riguardo (la preferita da Petrie11, fra l’altro) è che in realtà quell’animale non esistesse come tale, ma fosse la sintesi fantastica di una serie di creature, come all’occhio sembra essere il calicoterio.

Svariati poi sono gli aspetti molto interessanti di questo ordine: è comparso nell’Eocene e si è generalmente estinto durante il Pleistocene, e quindi in epoca davvero recente (quest’ultima èra termina approssimativamente quindicimila anni fa); inoltre, le ultime specie ad estinguersi furono quelle africane Schizoterium e Ancylotherium, scomparse in tempi pressoché contemporanei durante l’Olocene recente. Ma c’è di più: non solo in Russia esistono pitture rupestri che ritraggono certamente questo animale, ma in Kenya (di nuovo, lungo l’ipotetica direttrice di sviluppo Sud-Orientale dell’Egitto), sebbene non documentati in maniera inoppugnabile, sono ancor oggi frequenti avvistamenti di creature (gli “orsi nandi”), la cui descrizione farebbe pensare proprio ai Calicoteri, forse sopravvissuti in piccolo numero. Infine, gli esseri umani fin dall’alba della propria storia paleontologica hanno certamente convissuto con questi animali, visto che a Laetoli (località famosissima per le impronte degli ominidi) sono state identificate orme che, analizzate nel dettaglio, sembrano ascrivibili ai calicoteri, e Laetoli è in Tanzania, di nuovo nella direttrice sud-orientale.

In conclusione, l’analisi del gran dio Seth ci ha condotti davvero lontano, nello spazio e nel tempo, ben oltre i confini di quell’Egitto che pensiamo di conoscere e che invece continua a stupirci. Anche perché l’epopea di Seth, come ho già accennato in questo lavoro, si confonde e si sovrappone con il mistero di tre  dei Nove Archi. L’antichità remotissima in cui potrebbe essere confinata la nascita di Seth nella sua rappresentazione teriomorfa fa il paio, a mio giudizio, con il problema della identificazione di Pat, Rekhyt e Henmemet e del loro significato fra i Nove Archi35.

Dunque, pare che esista una stretta correlazione fra le pieghe del mito più antico, gli avvenimenti accaduti ancor prima del Predinastico e le località che hanno fatto da sfondo al grandioso scenario della storia egizia. La soluzione del mito sethiano, quindi, potrebbe condurre a capire quali fossero quei tre popoli, che ruolo abbiano giocato nella genesi dello Stato dei Faraoni e la provenienza (o le provenienze?) dei civilizzatori delle Due Terre. Sarà necessario un attento studio con occhi bene aperti a possibilità poco esplorate, per condurci alla definizione della nascita della grande civiltà egiziana, e fra Grande Verde, Archi, dèi, piramidi e percorsi geo-demografici potrebbe essere facile perdersi. Abbiamo parlato di due grandi direttrici quali fonti dello sviluppo egizio; verosimilmente ne esiste una terza, decisiva nella creazione dello Stato faraonico quanto e forse più delle altre due. Probabilmente qualche indizio può essere presente in questo scritto; sicuramente sarà argomento di un prossimo lavoro. A presto, e il Lettore ricordi che non c’è due senza tre…

NOTE

1 – Hart, G, The Routledge Dictionary of Egyptian Gods and Goddesses, Routledge Ed., 2005;

2 – Dell’Agnola, M, Mitologia e dei dell’antico Egitto, Edizioni Ferrari Sinibaldi, 2010;

3 – Kemp, B, Ancient Egypt – Anatomy of a civilization, Routledge Ed., 2002, pp. 31 e segg;

4 – ibidem, p. 34;

5 – Gardiner, A, La civiltà egizia, Einaudi, 1971, pp. 380-383;

6 – ibidem, p. 381;

7 – ibidem, p. 381;

8 – Barca, N, Sovrani predinastici egizi, Ananke, 2006, pp. 165-170;

9 – Gardiner, A, op. cit., pp. 384 e segg.;

10 – Te Velde, H, Seth, God of Confusion: A Study of His Role in Egyptian Mythology and Religion, 1967, Probleme der Ägyptologie 6, pp 1-7;

11 – Flinders Petrie, WM, The religion of Ancient Egypt, 1906, pp. 38 e segg.;

12 – Traunecker, C, Gli dèi dell’Egitto, Xenia, 1994, p. 55;

13 – Tosi, M, Tuo Redda, C, Divinità dell’antico Egitto, Ananke, pp. 46-47;

14 – op. cit., pp. 45-46;

15 – Mayoh, R, Seth as a Foreigner in Protodynastic Egypt, Swansea, 2011;

16 – op. cit.;

17 – op. cit., pp. 14 e segg.;

18 – Berni, W, Chiappella, A, I Popoli del Mare, Pendragon, 2005;

19 – Griffin, K, A reinterpretation of the use and function of the rekhyt rebus in New Kingdom temples, Swansea, 2012;

20 – op. cit.;

21 – Dakhleh Oasis Project , PETROGLYPH UNIT ROCK ART RESEARCH, 2006;

22 – Moss, K, The Seth-animal: a Dog and its Master, in “Ancient Egypt”, Aug/Sep 2009, pp.43 e segg.;

23 – Lansberry, JA, Images of Set: Changing Impressions of a Multi-faceted God;

24 – Muller, G, Nubian Origins of Egyptian Predynastic Civilization, ebook, 2013;

25 – Muller, G, East African Origin of the Ancient Egyptians, ebook, 2015;

26 – Barcelli, S, La mitica Terra di Punt – Sulle tracce del misterioso regno che commerciava con i Faraoni, 2018 (comunicazione all’Autore);

27 – Rohl, D, La genesi aveva ragione, Piemme, 2000;

28 – Wilkinson, TAH, La genesi dei Faraoni, Newton & Compton, 2004;

29 – Winters, C, Before Egypt: The Maa Confederation, Africa’s First Civilization, ebook, 2013;

30 – Winters, C, Egyptian Language: The Mountains of the Moon, Niger-Congo Speakers and the Origin of Egypt, ebook, 2012;

31 – Anta Diop, C, The African Origin of Civilization: Myth or Reality, 1989;

32 – Anta Diop, C, Antériorité des civilisations nègres, 1990;

33 – Anta Diop, C, The Peopling of Ancient Egypt & the Deciphering of the Meroitic Script, 1997;

34 – Wendorf, F, Schild, R, Nabta Playa and Its Role in Northeastern African Prehistory, J of anthropological archaeology 17, 97–123 (1998);

35 – Marino, F, L’Atlantide degli Egizi, articolo on line

ALTRI TESTI CONSULTATI E CONSIGLIATI

Shorter, AW, Gli dèi dell’Egitto, Roma, 1980;

Wilkinson, TAH, Early Dynastic Egypt;

Rice, M, Egypt’s Making – The Origins of Ancient Egypt (5.000-2.000 BC);

Cimmino, F, Dizionario delle dinastie faraoniche, Bompiani;

Rohl, D, Exodus. Il testamento perduto, Newton & Compton;

McKenzie, D, Egyptian Myths and Legends;

Rawlinson, G, Ancient Egypt;

Wallis Budge, EA, Legends of the Gods: The Egyptian Texts;

Flinders Petrie, W, Religion and conscience in Ancient Egypt;

Taklit, MS, Idjennaden, B, “The pre-Egyptian gods from the Sahara”, 2013.

Lascia un commento