Fenomeni clipeologici nel libro di Isaia?

Condividi l'articolo

Fabio Marino torna a occuparsi di clipeologia, con un caso che probabilmente, tra la casistica, è il meno conosciuto: un passo tratto da Isaia (6, 1-8), in cui il profeta sembra fornire un possibile resoconto di un incontro ravvicinato. Ma c’è di più, perché il frammento pare racchiudere anche un richiamo alla nota cerimonia egizia chiamata ‘apertura della bocca’… Buona lettura!

Nell’ambito della complessa casistica ufologica, è tornata di moda, dopo un considerevole periodo di oblio, l’identificazione (più o meno presunta) di fenomeni anomali nell’antichità. Si parla quindi con sempre maggiore frequenza di avvistamenti nei tempi remoti; di teoria del paleocontatto; di teoria degli antichi astronauti. Tuttavia, è emersa, a mio giudizio, un’evidente scarsa qualità nella classificazione generale dei fenomeni a possibile valenza ufologica; classificazione a cui veniva annessa invece (e giustamente) notevole importanza da parte dei Ricercatori degli anni ’60 del secolo scorso. Correttamente infatti andrebbe ancor oggi operata una chiara distinzione fra ufologia clipeologia.

Il n° 2 della rivista “Clypeus”, 1964)

La distinzione principale fra le due categorie, fondata essenzialmente su criteri cronologici (su cui si può magari discutere, ma che rappresentano un elemento importante, in quanto espressione della cultura e del sistema di credenze delle varie epoche storiche) sembra essere una strada efficace nell’analisi di accadimenti straordinari vissuti dall’uomo. In estrema sintesi, si dovrebbe parlare di “clipeologia” per gli avvistamenti di epoca “classica” e fino alla fine del 1800 (più o meno); di “ufologia”, invece, per gli anni successivi, anche se comunemente il “certificato di nascita” del fenomeno-UFO è considerato il giugno del 1947, dopo il celeberrimo avvistamento di Kenneth Arnold all’altezza del Monte Rainer.

Nel 1964 il Centro Studi Clipeologici di Torino iniziava la pubblicazione di una storica rivista denominata “Clypeus“, una parola coniata qualche anno prima da Umberto Corazzi. Il nome stesso “clipeologia” deriva dal sostantivo latino “CLIPEUS”, che era un piccolo scudo ovale usato dai Romani; il termine origina, in effetti, dalle opere di Plinio il Vecchio, in cui si racconta di apparizioni inquietanti nei cieli di quei tempi: “scudi infuocati” o clipei ardenti (“clipei ardentes”), travi brillanti o “trabes ignitiae“. Una miniera vera e propria di fatti insoliti nell’ambito dell’Impero Romano, spesso sconfinanti con il più vasto mondo dei fenomeni fortiani, è rappresentato dal “Libro dei Prodigi” di Giulio Ossequente.

 

 

“Il Libro dei Prodigi” nell’edizione curata da Solas Boncompagni, 1976

La prima edizione in italiano di questo testo apparve ad opera della “Corrado Tedeschi Editore”, la stessa Casa che ideò il glorioso “Giornale dei Misteri” nel 1971, rappresenta una completa raccolta di curiosità che vanno dalle statue parlanti, a nascite “miracolose”, ad avvistamenti spesso inspiegabili.

Ovviamente, il tutto, come sempre dovrebbe avvenire in ambito clipeologico, dovrebbe essere riguardato anche alla luce delle nostre attuali conoscenze: ad esempio, molti fenomeni aerei riportati da Ossequente (che fu un diligente compilatore, e raccolse molti eventi dai tempi di Romolo fino al tardo Impero) possono oggigiorno essere agevolmente spiegati in termini di meteore/meteoriti, miraggi/Fate Morgana e via discorrendo. Anche di fronte ad una serrata e critica analisi, tuttavia, diversi sono i casi che resistono ad una spiegazione convenzionale. In ogni caso, è bene tenere sempre a mente alcune bussole, alcuni importanti indicatori:

1 – in primo luogo, specialmente per quanto riguarda testi profetici afferenti a qualsiasi cultura dell’antichità, è bene ricordare che antropologicamente era prassi comune, per gli sciamani/profeti ottenere visioni sia attraverso l’uso di sostanze psicotrope (tipico l’esempio della psilocibina), sia attraverso l’induzione di ipossia cerebrale a mezzo di un vero e proprio affumicamento.

La copertina dello storico libro di De Martino

Chiunque abbia letto “Il mondo magico” del compianto etnopsichiatra Ernesto De Martino sa che vi sono riportati numerosi casi, ampiamente e rigorosamente documentati, sull’uso di questi mezzi per ottenere visioni (spesso anche di valenza paranormale); un altro grande pioniere sperimentale sul tema, i cui studi sono ugualmente rigorosi e documentati, è Stanislav Grof. Ci sono anche modi meno “alternativi per conseguire un presunto contatto con realtà “altre”: per esempio, il prolungato digiuno, o comunque una dieta rigida e largamente ipocalorica. Del tutto tipica, in tal caso, l’alimentazione (o la non-alimentazione) di Giovanni Battista e di Gesù nel deserto;

2 – in secondo luogo, oggigiorno esistono migliaia di libri di FANTASCIENZA, che ha radici molto antiche. Basti pensare al famoso viaggio di Astolfo sulla Luna per recuperare il senno di Orlando, immortalato dall’Ariosto nell’ “Orlando Furioso”; oppure al naufragio che conduce Luciano di Samosata sul nostro satellite, e così via. Non sfugge a questa possibilità (cioè, che si tratti di opera dell’ingegno e della immaginazione fantastica dell’Uomo) nemmeno la letteratura indiana spesso indicata da entusiasti clipeologi/ufologi come uno degli indizi più importanti delle visite degli extraterrestri sul nostro pianeta in epoche preistoriche o protostoriche: mi riferisco ai celeberrimi Mahābhārata e Rāmāyana, con i loro fantasmagorici Vimana e le loro impressionanti battaglie nei nostri cieli.

Letteratura di genere, dunque? Nessuno può dirlo con certezza, ma è una eventualità da tenere presente. Le interpretazioni clipeologiche di numerosi passi della Bibbia vanno molto di moda. I passi riportati per giustificare certe idee più o meno bislacche, però, sono – chissà perché? – quasi sempre gli stessi: la nube (di giorno) e la colonna di fuoco (di notte) che guidò gli Ebrei durante l’Esodo; il fenomeno del “roveto che ardeva e non si consumava” nel deserto, apparso a Mosè in territorio madianita; il rapimento al Cielo di Elia; la famosa “visione” di Ezechiele.

Un Vimana in una suggestiva ricostruzione

Eppure, se dal punto di vista del Credente tutti questi fenomeni possiedono una valenza teologica e teofanica, forse la loro valenza clipeologica non è così fondata come si tende a credere. Per esempio, proprio il caso di Ezechiele potrebbe rappresentare una visione effettivamente indotta da numerose alterazioni metaboliche (a carattere sia tossico che fisiopatologico) proprio per gli aspetti confusionari con cui il protagonista la racconta: la vaghezza del resoconto, anziché rafforzare l’idea di uno strano incontro, rischia di inficiarne la validità, in quanto può essere l’espressione di uno stato mentale alterato. Ad esempio, ricorda da vicino i fenomeni osservabili in corso di epilessia del lobo temporale.

Ciò non toglie che si possa analizzare il racconto profetico anche secondo l’ottica clipeologica, ed è quello che faremo prossimamente. Tuttavia è piuttosto strano che un passo molto significativo di Isaia sia sfuggito all’attenzione dei cacciatori di UFO nell’antichità. Il frammento è significativo per due motivi: intanto, appare in effetti come un possibile resoconto di un incontro ravvicinato; poi, sembra contenere un curioso richiamo all’egizia cerimonia di apertura della bocca, riportata proprio nell’ambito del racconto. Ecco il passo, traslato pari pari dalla Bibbia (corsivi, grassetti e sottolineature sono miei):

Una nota ricostruzione classica della visione di Ezechiele

Isaia 6, 1-8
1 Nell’anno in cui morì il re Ozia, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio.
Attorno a lui stavano dei serafini, ognuno aveva sei ali; con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava.
3 Proclamavano l’uno all’altro: «Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria».
Vibravano gli stipiti delle porte alla voce di colui che gridava, mentre il tempio si riempiva di fumo.
5 E dissi: «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il Re, il Signore degli eserciti».
6 Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare.
Egli mi toccò la bocca e mi disse: «Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua iniquità e il tuo peccato è espiato».
8 Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi: «Eccomi, manda me!»”

Una volta tanto, abbiamo qualche elemento definito. La “visione” (oppure un vero avvistamento?) è facilmente databile: “Nell’anno in cui morì il re Ozia” corrisponde inequivocabilmente al 742 o al 740 a.C. (v., ad esempio, J. Bright, “Storia dell’Antico Israele“, Newton Compton); ci sono poi due aspetti da esaminare. Il primo è “l’avvistamento” vero e proprio: sembra quasi di immaginare un’astronave-madre scortata da astronavi più piccole (“Attorno a lui stavano dei serafini, ognuno aveva sei ali”), oppure da congegni atti al sostentamento della presunta astronave (“con due [ali] si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava”).

Appare chiaro che il fenomeno, evidentemente aereo, produceva un forte suono, verosimilmente a bassa frequenza, tale da far vibrare gli stipiti; inoltre, un motore (!?) emetteva fumo. E fin qui, “quasi” normale: la descrizione di un avvistamento, raccontato con la terminologia e gli strumenti linguistici dell’epoca, da parte di chi non aveva mai visto ciò che tentava di descrivere.

Ancora più impressionante è, secondo me, la seconda parte. Quella, cioè, in cui la bocca del Profeta viene toccata da un “essere” con un “carbone ardente” prelevato “con le molle dall’altare”. Non sembra di rivedere la cerimonia dell’apertura della bocca, con tutto il suo possibile significato “reminiscente”? Se facciamo lavorare la fantasia, è facile vedere una qualche tecnica medica nel porre il “carbone” sulla bocca di Isaia, il quale sicuramente avrà compreso ben poco di quanto avveniva: una “astronave” identificata con il Signore che si presenta “sbuffante e strepitante”, e poi un essere misterioso che armeggia con il suo corpo…

In conclusionemore solito non è possibile esprimere giudizi tranchant e certi su questo racconto. Tuttavia, a me sembra che, ben più di tante altre storie più famose, questo “resoconto” sia particolarmente importante. Anche perché mancano elementi che possano rendere valide le obiezioni che ho riportato più sopra a proposito di altri racconti, ed anche (ma non solo) per la precisa collocazione storica del fenomeno.

Uno dei pochi casi nell’antichità in cui ciò avviene con tanta accuratezza. Un fatto, quindi, su cui meditare, e da approfondire. Una rondine non fa primavera, e le speculazioni non fanno una teoria; ma se pensiamo ai flap del giorno d’oggi sarebbe stimolante verificare se anche da qualche altra parte, nel medesimo periodo, si siano riscontrati “avvistamenti” analoghi.

 

Lascia un commento