Fabio Marino torna sulle pagine di ‘Storie e dintorni’ con uno studio incentrato sui copricapi reali dei governanti egizi. Le corone, spiega l’autore, erano in connessione intima con i faraoni, poiché rappresentavano, nella convinzione egiziana, l’immutabilità del mondo e l’attenzione che gli dei riversavano alla gente del Nilo. Buona lettura!
Il Faraone d’Egitto, si potrebbe dire, aveva una Corona per ogni occasione. La loro varietà è notevole ma le due evidenziate sulla famosissima tavolozza di Narmer avevano un potere speciale: parliamo della Corona Bianca dell’Alto Egitto (“Hedjet”, che qualificava il faraone come re dell’Alto Egitto, identificando gli dei Horus e Nekhbet) e della Corona Rossa del Basso Egitto (“Deshret”, che invece lo qualificava come re del Basso Egitto, sotto la protezione degli dei Horus, Uadjet, Amonet e Neith).
Anche se non è un principio infallibile, le divinità dell’Alto Egitto come Seth tendono generalmente ad indossare la Corona Bianca, mentre gli dei del Regno settentrionale, come Neith (in realtà una dea), indossano quella Rossa.
In una brillante intuizione della sintesi un propagandista arcaico di genio, sostenuto dal Faraone quasi subito dopo l’unificazione, inventò un gran bel colpo di «public relation», combinando le due corone in una sola. Questo fatto è diventato una specie di racconto implicito e un simbolo altamente evocativo dell’unione fra i due presunti Regni predinastici; il nome della Corona combinata (“Pschent”) è una Corona Doppia che combina Corona Rossa e Bianca (deshret e hedjet) nonché l’ureo e l’avvoltoio, identificando il faraone come re dell’Alto e Basso Egitto, sotto la protezione degli dei Horus, Seth, Atum, Mut e Ihi. Significa ‘Le Due più Potenti‘, le dee dei due regni.
La pschent è stata utilizzata per la prima volta durante il regno del Faraone Den (I Dinastia, morto nel 2.995 a.C. circa), quando molti degli aspetti più importanti dell’amministrazione reale erano ormai stati codificati. Per inciso, Den è famoso sia per la sua barca “solare” (la più antica mai rinvenuta), che per essere il figlio di Mer(it)neith, “L’amata da Neith“, una dei pochissimi esempi di sovranità femminile dell’Egitto (un altro è rappresentato dalla famosissima Hatshepsut, che però governò nel Nuovo Regno): una Regina il cui nome richiama direttamente Neith (divinità del Delta occidentale, come detto), con ciò fornendo un ulteriore indizio alla reale importanza del Basso Egitto nell’unificazione dello Stato.
In conseguenza della loro connessione particolarmente intima con la persona del Faraone, sia in senso fisico, sia perché sono state il primo tra i soggetti più evidenti della manifestazione della sua pretesa di sovranità assoluta fisica e divina, le corone hanno rappresentato uno degli elementi più duraturi nella convinzione egiziana dell’immutabilità del mondo. Le corone erano per gli Egizi la prova della particolare attenzione che gli dei avevano nei confronti della gente della Valle e rappresentavano il loro mandato per l’eternità dell’Egitto. Anche quando è avvenuto il crollo dell’Antico Regno (intorno al 2.000 a.C.) le corone sono sopravvissute.
Le corone, non a caso, avevano caratteristiche completamente divine. Facevano parte addirittura, nel Primo Periodo Dinastico, del seguito personale delle divinità che partecipavano direttamente alla vita del Faraone; il loro ruolo era infatti di fornire una speciale protezione del Faraone e causare la distruzione dei suoi nemici. Addirittura in alcuni periodi arcaici vennero costruite cappelle apposite per l’alloggiamento delle corone, il che dà la misura del significato sacro che veniva loro attribuito.
La prima rappresentazione egizia della Corona Bianca (quella del Sud, l’Alto Egitto) è sulla tavolozza di Narmer (fig. 1). Sottolineo egizia perché, come ho già indicato nella prima parte de “I colori di Iteru” (“Tracce d’Eternità”, n° 30) l’origine di questa Corona potrebbe essere molto più antica (e sicuramente molto diversa) da quanto fino ad oggi ipotizzato, tant’è che se ne trova traccia nel cosiddetto “incensiere di Qustul” (fig. 2), probabilmente più antico della famosa tavolozza di circa tre secoli.
La più antica rappresentazione della Corona Rossa, tradizionalmente identificata con il Regno del Nord (Basso Egitto) è invece molto anteriore e si ritrova modellata su un frammento di ceramica recuperato dal famoso sito meridionale di Naqada; questo frammento è certamente datato al periodo di Naqada I (corrispondente ai primi secoli del IV millennio, dal 3.900 al 3.650 a.C. circa).
Questo dato sembra confermare una volta di più che l’interpretazione corrente che vede l’Alto Egitto come “senior partner” nella Duplice Monarchia rischia di essere totalmente scorretta; in ogni caso, la Corona Rossa del Basso Egitto era considerata di gran lunga la più sacra.
La Corona Rossa del Basso Egitto è infatti quella risalente a una maggiore antichità (e proprio perciò potrebbe rivestire un carattere di maggiore sacralità); nella ceramica del Naqada I (fig. 3) si vede la sua rappresentazione, che risale agli albori del Predinastico, quasi al confine del periodo Badariano (inizio del IV millennio).
Probabilmente questa Corona era originariamente associata con i governanti di Naqada e la sua attribuzione al Basso Egitto (Nord) è stata in realtà una conseguenza del fatto che Naqada è situata a nord della città che alla fine risultò vittoriosa (This/Abydos) nella lotta per il predominio della Valle.
Un altro aspetto da considerare però è che si può ipotizzare che la Corona Bianca sia derivata, come effettivamente è possibile e plausibile, da un prototipo asiatico occidentale e la Corona Rossa fosse considerata in qualche misura “superiore” in ragione della sua autentica origine egiziana.
Il precedente asiatico occidentale per la Corona Bianca si trova su un sigillo cilindrico del IV millennio a.C. rinvenuto a Susa (fig. 4).
David Rohl (“Exodus. Il testamento perduto”, eNewton Saggistica) così descrive il frammento: «Il “sovrano”, che indossa una corona bianca dell’Alto Egitto (si confronti con la versione in geroglifici egizi sulla sinistra), si trova fra due geroglifici hem (il simbolo della regalità egizia, spesso tradotto con “sua maestà”). Dietro al sovrano si trova una rosetta abborracciata (anche questa associata con l’antica regalità egizia e il geroglifico neter che significa “dio” o “divinità”). Dietro alla rosetta si trova un membro dell’entourage del re che reca un’insegna con la mezzaluna (tipica della Mesopotamia). Nel registro inferiore, si vede una principessa o moglie del re che viene trasportata in una portantina. Questa rara forma di arte glittica (raffigurante una battaglia specifica) mostra motivi sia egizi, sia mesopotamici, ma la sua provenienza è dall’Iran sud-occidentale (la regione successivamente conosciuta come Elam)».
Le figure che indossano queste corone sembrano partecipare dunque a una sorta di rito orgiastico (o di battaglia, secondo Rohl). In un altro sigillo la Corona Bianca è indossata, a quanto pare, da due scimmie. Il dualismo delle due corone può riflettere altresì un’altra interpretazione della realtà, tanto più che l’antichità della Corona Rossa mette inevitabilmente ancora una volta in discussione l’esistenza o meno del Regno Settentrionale e se questo Regno sia effettivamente esistito come tale, o, in ogni caso, “solo” nel senso di un soggetto politico che ha rappresentato la regione del Delta.
Forse ‘Nord’ faceva riferimento alla parte della Valle dominata dai seguaci del Falco (ho già scritto della possibile autoctonia egizia del dio Seth, in confronto a Horus il Falco); la Corona Rossa può quindi essere stata parte delle insegne di un altro Principe del Sud le cui terre, con capitale Naqada, furono assorbite dalla famiglia di Principi che si assicurò l’egemonia dell’Egitto partendo da territori ancora più meridionali (la Nubia?).
Quando fu deciso, per motivi politici, di identificare un Regno settentrionale per fare da contraltare a quello meridionale nel segno del dualismo religioso e filosofico che ha permeato il mondo egizio, e una volta che l’unificazione era ormai irreversibilmente avviata, sarebbe del tutto possibile che la Corona tipica delle zone più a valle venisse adottata come simbolo del Nord.
Ma questa è pura speculazione, niente di più; la decisione di utilizzare la Corona Rossa per realizzare una sorta di “equilibrio”, per così dire, con quella Bianca, potrebbe essere stato l’ennesimo colpo di genio dei propagandisti reali. Quel che è certo, tuttavia, è che la Corona Rossa veniva sempre esposta per prima e aveva la precedenza, in ogni circostanza, rispetto a quella Bianca, godendo di una “reputazione” più elevata, nonostante l’identificazione della Corona Bianca con il Sud e con le origini della regalità. Ma questa identificazione, in effetti, potrebbe essere stata nulla più che un’operazione politica per legittimare questioni dinastiche e di supremazia, senza mai riuscire a scalfire il prestigio e la sacralità assoluta della controparte Rossa.