In questo articolo racconto del concitato arrivo del dio Tlaloc a Città del Messico, in una piovosa giornata dell’aprile 1964. Il monolite, che alcuni archeologi identificano però nella sposa della divinità, Chalchiuitlicue, fu rinvenuto a San Miguel Coatlinchan, un piccolo villaggio vicino Texcoco. Fu trasportato fino al Museo della capitale con un eccezionale dispiegamento di mezzi e persone. Proprio quel giorno, si abbatté sulla città, per almeno un’ora e mezza, un’incredibile pioggia torrenziale, in piena stagione secca. Nasce in quel preciso momento la storia della ‘maledizione’ del dio della pioggia, divenuta col tempo una leggenda metropolitana.
Chi ha avuto la fortuna di visitare almeno una volta il Museo Nazionale di Antropologia di Città del Messico può ben comprendere perché da sempre è considerato all’unanimità tra i più belli.
A parte il design avveniristico (sono già trascorsi oltre quarant’anni dalla sua costruzione) e la cornice da favola in cui è immerso (lo stupendo bosco di Chapultepec), il museo è rinomato per la maggior collezione di arte precolombiana al mondo ed è la meta obbligata di ogni turista anche se l’archeologia non è esattamente in cima ai suoi pensieri. L’unico paragone che viene in mente è con il Museo de Il Cairo, in Egitto.
Ancor prima di varcarne la soglia quel che attira immediatamente l’attenzione del visitatore è certamente una gigantesca statua che troneggia sulla fontana del piazzale d’ingresso.
Il monolite dovrebbe rappresentare Tlaloc, il mitico dio azteco della pioggia, sovente rappresentato con una maschera composta da due serpenti attorcigliati che formano il naso, i cui corpi si arricciano intorno agli occhi e le code vanno a formare i baffi: pur non recando alcuna specifica iscrizione che possa confermarlo, la gente ha ormai identificato l’opera scultoria con questa divinità. Come sia arrivata fin qua la statua e che cosa ci sia di vero nella ‘maledizione’ innescata dal terribile dio durante il suo trasferimento è una storia che merita di essere raccontata.
Tlaloc faceva già proseliti a Teotihuacan, “la città dove nascono gli dèi” a circa sessanta chilometri da Città del Messico. Il dio della pioggia era venerato anche dai Maya con l’appellativo di Chac e dai Toltechi come Cocijo.
Questa divinità incuteva così tanto terrore che gli Aztechi praticavano regolarmente il sacrificio umano per ingraziarsela, nella consapevolezza che fosse l’artefice delle avverse condizioni climatiche che si abbattevano sulla Mesoamerica: se non era con piogge torrenziali il dio si faceva sentire con lunghi periodi di siccità.
La sua sposa era Chalchiuitlicue, associata all’acqua di fonti, laghi e fiumi: tutto in famiglia. Entrambi riuscirono a governare una delle cinque epoche che secondo la leggenda si susseguirono sul nostro pianeta.
Il monolite, da quel che sappiamo, adornava uno dei due templi di Tenochtitlan. Quando la città fu invasa nel 1521 dagli spagnoli la statua del dio della pioggia era già scomparsa. Nonostante ne avessero sentito parlare, i conquistatori non riuscirono a spiegarsi come fosse stato possibile nascondere una statua alta 28 metri e pesante 167 tonnellate.
Tlaloc tornò improvvisamente alla luce 400 anni dopo – nella prima metà del secolo scorso – per merito (o per sventura) di un contadino che stava arando un appezzamento di terreno a San Miguel Coatlinchan, un piccolo villaggio vicino Texcoco, nel letto ormai asciutto del torrente Santa Clara, una trentina di chilometri dalla capitale.
A pochi mesi dall’inaugurazione ufficiale della nuova sede del Museo, prevista in pompa magna il 17 settembre 1964 con la partecipazione del presidente Adolfo Lopez Mateos, le autorità decisero che il dio della pioggia avrebbe fatto bella figura all’ingresso e ne disposero pertanto il suo trasferimento.
La storia della ‘maledizione’, divenuta col tempo una leggenda metropolitana, prende piede proprio quel giorno (15 aprile 1964) in cui fu effettuato il trasporto dell’insolito monumento perché, nel momento in cui la divinità faceva il suo ingresso a Città del Messico, si abbatté sulla città, per almeno un’ora e mezza, un’incredibile pioggia torrenziale, in piena stagione secca.
Per far giungere Tlaloc al Museo fu necessario organizzare un servizio fuori dal comune. La divinità fu trasportata per trenta chilometri utilizzando un rimorchio speciale che attraversò le vie della città non prima che fossero sollevati al suo passaggio i cavi della rete elettrica e telefonica; altri possibili ostacoli sul cammino furono addirittura rimossi.
Quel che rimane di quel memorabile giorno, a parte il ricordo sbiadito dei sessantamila presenti, un breve filmato (tuttora visionabile anche in una saletta del museo) e poche fotografie, è il puntuale resoconto pubblicato dalla giornalista Louise Riley sulle pagine di un quotidiano messicano il 17 aprile 1964. Poiché è l’unico genuino che ho finora rintracciato, appare doveroso presentarne un ampio stralcio, riadattato nella nostra lingua, per l’eccezionalità della testimonianza.
“Piove su Città del Messico. Tlaloc, il dio della pioggia, è entraro nella capitale. La pioggia non è mancata ed è la punizione del dio Tlaloc per l’irriverente trasferimento dalla sua dimora ancestrale… Gli abitanti di Coatlinchan hanno tentato tre volte di fermare il trasferimento… in cambio di Tlaloc, gli abitanti di Coatlinchan hanno ottenuto dal governo la costruzione di una scuola e di un centro medico nonché la pavimentazione della strada che collega il villaggio con Texcoco.
Le truppe, con l’ordine di non sparare, sono già in città dallo scorso febbraio. Gli agenti segreti avevano occupato il campanile per controllare le case nei pressi e identificare gli istigatori… Alle 6:20 del mattino, nella tenuta di Tepetitlan in Coatlinchan, Texcoco, l’architetto Pedro Ramirez Vazquez ha dato il via all’operazione… I motori dei due trattori bulldozer da 860 cavalli l’uno hanno fatto vibrare la piattaforma, sostenuta da 72 ruote, con il carico di Tlaloc e un silenzio malinconico è sceso su tutti i presenti… I duemila abitanti della città seguono in silenzio l’ansimare delle macchine. Da un tetto una giovane donna che aspettava con ansia con un sacchetto di coriandoli ha lanciato un bagno multicolore sulla figura del Signore della pioggia.
Alle 11:20 l’enorme piattaforma si ferma all’incrocio con la strada di Texcoco. Alcuni uomini lì in attesa si avvicinano, fissano il monolito che giace imbavagliato con 42 cavi di acciaio e senza dire una parola se ne vanno. Tre pattuglie della Polizia Federale, un centinaio di soldati, un camion dei pompieri, un furgone pieno di pneumatici di ricambio e martinetti idraulici, un esercito di antropologi, ingegneri, elettricisti, meccanici e giornalisti sono stati gli artefici e gli spettatori di questo spostamento. Un treno merci passa nelle vicinanze e l’autista rispettosamente si toglie il berretto e per tre volte aziona il fischio. Una fila di auto di 5 chilometri, ciclisti, donne con bambini camminano vicino alla piattaforma. Alle 2:40, sulla strada Ignacio Zaragoza, centinaia di bambini si affollano intorno. La gente dalle finestre e dai tetti grida ‘il dio della pioggia, il dio della pioggia!’. C’è un vero groviglio di cavi elettrici e telefonici difficile da manovrare. Le strade sono immerse nel buio e l’aria è piena di odore di gomma bruciata.
Alle 8:40 di notte questo strano corteo si ferma alla rotonda Glorieta de Morazan. Deve attendere per la notte d’anticipo e si sposta in avanti ad aprire la strada alla nuova dimora di Tlaloc in Chapultepec Park. ‘Vediamo se questa fermata fa piovere di meno’ dice uno dei colleghi giornalisti. Non finisce queste parole che un fulmine illumina il cielo e tuona violentemente. Come se Tlaloc lo avesse ordinato si scatena una pioggia torrenziale sulla città. Le pozzanghere ostacolano il traffico in Tlalpan… il personale del Servizio idrico cercano di scoprire le fogne. L’acqua raggiunge un livello di 40 centimetri. La visibilità è quasi pari a zero. Non lontano da lì, alla periferia della Sears Roebuck un muro crolla su sei vetture. L’acqua invade anche l’edificio e uno strato di fango si riversa sulla casa. ‘Ora ci crediamo che Tlaloc è il dio della pioggia? Guardate cosa ci fa’ dice una delle persone.
A tarda notte si riprende la marcia sotto i riflettori finché si entra nel Zocalo. Sono le 10:38, le luci del Palazzo Nazionale e della Cattedrale si accendono per accogliere la figura monumentale. La marcia stridente dei rimorchi, le assordanti grida di una folla di cinquemila persone che accompagnano la processione. Il dio di Teotihuacan è acclamato nel bel mezzo di un muro umano, in Reforma vicino Cuauhtemoc. Ci sono persone tra gli alberi e sui monumenti.
Alle 1:13, in perfetta sincronia, i due trattori che tirano la piattaforma di 23 metri si fermano di fronte al nuovo museo sul Paseo de la Reforma. L’evento archeologico del secolo è finito. D’ora in poi Tlaloc, un fantasma del passato, si trova la propria immagine riflessa su uno specchio d’acqua che lo circonda”.
Nel 1968 così ricordava quel giorno uno dei protagonisti, l’architetto Pedro Ramírez Vázquez: “Ironia della sorte, l’arrivo del dio della pioggia è stato salutato dalla tempesta più pesante mai registrata per questa stagione normalmente secca.”
Il dio della pioggia si era davvero adirato per l’irriverenza patita e non aveva mancato di far sentire la sua voce.
Chi era al seguito di quel bizzarro convoglio, tornando con la mente a credenze popolari ben radicate nella memoria, non mancò di interpretare gli accadimenti di quel giorno. Resterà una bella storia che i nonni potranno raccontare in una notte di pioggia scrosciante.