La crisi del 536 d.C.

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Nel 536 della nostra era, il genere umano dovette sopportare l’ennesima devastazione globale del pianeta. Le testimonianze dirette nei testi degli storici e negli scavi archeologici sono state recentemente suffragate dalla dendrocronologia, tecnica di datazione basata sulla crescita annuale degli anelli degli alberi nelle regioni a clima temperato (che oltre l’età rivela le mutate condizioni climatiche), che permette di ricostruire serie cronologiche con minimi margini d’errore, determinando anche le temperature generalmente attestate a migliaia di anni fa.
In archeologia consente la datazione assoluta dei manufatti e può fornire conferme correttive alle datazioni ottenute con il metodo del radiocarbonio, poiché anche gli alberi nel processo di fotosintesi conservano tracce della concentrazione atmosferica di questo isotopo radioattivo. In quest’ultimo caso, le datazioni fornite dalla dendrocronologia applicata ad alcune piante molto longeve (larice comune e quercia in Europa centrale, abete rosso in Europa e Asia centrale, una specie di pino nel sud-ovest degli Stati Uniti) si spingono indietro nel tempo di oltre diecimila anni, considerando il materiale ligneo (anche fossile) in una curva standard di riferimento e utilizzando metodologie statistiche computerizzate.
Il rallentamento della crescita degli anelli tra il 536 e il 545 d.C. coincise con un raffreddamento climatico che produsse una siccità mortale per l’agricoltura e l’allevamento; da lì epidemie e carestie sterminarono intere popolazioni e misero in ginocchio imperi come quello cinese della dinastia Wei e della mesoamericana Teotihuacan. Ciò produsse nuove dispersioni umane, come quelle dei nomadi Avari che si spostarono a ovest verso l’Europa per stabilirsi a nord del Caucaso. Ne risentì anche il ricostituendo Impero romano d’Occidente, nelle ambizioni di Giustiniano I, poiché epidemie di peste decimarono i suoi eserciti.
Nuove conferme sono arrivate dai carotaggi nel ghiaccio della Groenlandia e dell’Antartico, dove sono emersi strati di sostanze solfuree depositate in quello spazio temporale. Le evidenze hanno permesso al paleoecologo Robert Dull dell’Università del Texas ad Austin di affermare che tra le cause che produssero l’abbassamento delle temperature e tutto quel che ne conseguì, fu senz’altro l’eruzione del vulcano Ilopango in El Salvador, la più estesa degli ultimi diecimila anni. Poiché gli stessi carotaggi contenevano anche alte concentrazioni di nichel e stagno, il geologo Enter Dallas Abbott della Columbia University in Palisades di New York ritiene che un’altra causa che aggravò la già precaria esistenza umana fu una pioggia di meteoriti della cometa di Halley, che entrarono nell’atmosfera terrestre durante il passaggio ravvicinato del corpo celeste, all’incirca nel 530 d.C. L’impatto, con cratere più consistente nel golfo di Carpentaria in Australia, provocò il sollevamento di una nuvola di polvere che oscurò il Sole per diversi anni e fu all’origine dell’abbassamento generalizzato delle temperature.
Una terribile tenaglia che provocò sconvolgimenti climatici in tutto l’emisfero settentrionale.

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