Della recente elezione al soglio pontificio del vescovo americano Robert Francis Prevost, quel che stupisce è la scelta del nome: Leone XIV.
Il prefetto del Dicastero per i vescovi e presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina, infatti, vuole così marcare un cambiamento netto rispetto al predecessore, richiamandosi all’ultimo papa con questo appellativo, cioè Leone XIII, tal Vincenzo Gioacchino Raffaele Luigi Pecci, che regnò sul Vaticano dal 1878 al 1903.
Leone XIII è il pontefice che fece del suo mandato una vera e propria missione pastorale (e politica) testimoniata dalle decine e decine di encicliche sociali, in un periodo in cui la Chiesa cattolica aveva estremamente bisogno di ritagliarsi un’identità forte per non soccombere all’ateismo e al capitalismo, dopo la perdita del potere temporale.
Tralasciando volutamente la visione mistica e terrificante accaduta nel 1884 a Leone XIII (il pontefice vide, come recitano le testimonianze, l’emersione di demoni dalle spaccature della crosta terrestre, col chiaro intento di distruggere anche la Basilica di San Pietro, evento scongiurato infine dal provvidenziale intervento dell’Arcangelo Michele), che in qualche modo bene si adatta anche al tempo presente, quel che vorrei mettere in risalto è invece l’antiamericanismo di quel papa, che permise lo sviluppo di questa corrente politica in Italia, fin dagli anni Venti del Novecento.
La contrarietà espressa dal mondo cattolico, già alla fine dell’Ottocento, verteva soprattutto sul rifiuto della modernità e del liberismo provenienti dagli Stati Uniti, poiché costituivano una seria minaccia al modello cristiano sviluppatosi in tutta Europa.
L’antiamericanismo dei cattolici prendeva naturalmente spunto dall’enciclica Longinqua oceani (“Oceani lontani”) emanata dal papa Leone XIII nel 1895, che si rifaceva in buona sostanza al pensiero già espresso chiaramente sulle pagine della Civiltà Cattolica, l’organo di punta dei gesuiti, che per primi avevano intuito i pericoli provenienti dagli Stati Uniti e che potevano mettere in difficoltà la Chiesa.
Con quello scritto Leone XIII esortava i vescovi statunitensi a non lasciarsi abbindolare dai principi liberali e democratici di quella società, poiché essi avrebbero potuto generare cambiamenti nefasti ed epocali per il cattolicesimo. Il compito dei responsabili delle diocesi americane, quindi, doveva essere quello di formare i fedeli, in modo che non cadessero nella trappola della modernità e del capitalismo.
L’avversione per lo stile di vita americano divenne dominante nel secondo dopoguerra, quando quel modello rischiava seriamente di attecchire anche in Italia, mettendo a rischio i pilastri della Chiesa cattolica, cioè la famiglia e l’educazione. In particolare, come osserva Massimo Teodori, già professore ordinario di ‘Storia e istituzioni degli Stati Uniti’ dell’Università di Perugia, appariva preoccupante di quella società la dissoluzione dei costumi e il pericolo rappresentato dal divorzio.
La Democrazia Cristiana, perlomeno l’ala sinistra del partito, si fece carico dei timori provenienti dal mondo cattolico, anche se ciò appariva in netto contrasto con gli interessi politici nazionali.
Il Vaticano, infine, nonostante tutto, fu persuaso a una scelta di campo ben definita: l’alleanza dell’Italia con gli USA, tramite gli uomini della DC, si rendeva necessaria per combattere il nemico comune, l’ideologia comunista dell’URSS che si stava propagando velocemente anche nella penisola.
Ma questo non significò l’abbandono delle forti contrarietà espresse nei confronti della società americana, che proseguirono sulle pagine degli organi di stampa clericali: Politica Sociale e Cronache Sociali (entrambe nella sfera d’influenza delle sinistre democristiane riconducibili rispettivamente alle correnti di Giovanni Gronchi e Giuseppe Dossetti), Civiltà Cattolica, L’Osservatore Romano, Il Popolo e Avvenire.
Ecco perché il Piano Marshall veniva considerato dai cattolici del tutto strumentale all’industria statunitense che aveva la costante necessità di funzionale a pieno ritmo e d’individuare, come già accaduto in precedenza, nuovi sbocchi commerciali sui mercati esteri.
Il protestantesimo, le libertà individuali e l’economia di mercato costituivano per la Chiesa cattolica un serio pericolo, non solo per i dettami del Vaticano, ma anche per il futuro assetto sociale dell’Italia, in quel momento particolarmente fragile.
L’antiamericanismo cattolico, per certi versi sovrapponibile a quello originato dalle destre e dalle sinistre, poneva l’accento anche sulle conseguenze disastrose provocate dal sistema capitalistico, confermato dal crollo di Wall Street del 1929, che aveva reso infine l’uomo completamente asservito alle ragioni economiche e al profitto. Anche l’Italia fascista scopre che l’America tanto sognata in realtà è pura illusione, poiché quella società cova in sé gli elementi di una disgregazione distruttiva, con un modello di sviluppo non più perseguibile.
Più recentemente questo tipo di pregiudizio antiamericano in Italia è stato sostenuto da Comunione e Liberazione, l’organizzazione dei giovani cattolici, che durante i suoi meeting e sulle pagine della rivista Sabato, ha ripreso con forza l’opposizione al modello economico americano, facendo leva sui vecchi pregiudizi del mondo cattolico, già in voga nel secondo dopoguerra. In più, CL sposò il teorema popolare dell’esistenza di una cospirazione che gli Stati Uniti avrebbero realizzato con la P2 di Licio Gelli, la loggia di garanzia degli interessi americani in Italia.
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