Prima dei vichinghi

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Danimarca e Svezia meridionale rimasero disabitate fino a dodicimila anni fa: con il ritiro dei ghiacci del Pleistocene, gruppi di cacciatori di renne arrivarono in questi territori, seguiti poi da cacciatori-raccoglitori, il cui sostentamento proveniva principalmente dalla pesca.

La prima cultura mesolitica si sviluppò nella Scandinavia meridionale dalla fine del 7000 a.C., come testimoniato dai rinvenimenti emersi nel corso di numerosi scavi archeologici.

Sono almeno quaranta i siti del Mesolitico identificati nelle insenature presenti sulle coste, tutti occupati in pianta stabile da comunità sedentarie per lunghi periodi.

In Scandinavia l’inizio del Neolitico si attesta generalmente al 3200 a.C. circa, quando fu introdotta l’agricoltura, molto in ritardo rispetto al resto d’Europa, poiché la caccia e la pesca rimasero la fonte primaria del sostentamento degli uomini del Nord.

Ulteriori scavi archeologici documentati, ci permettono di comprendere che nelle terre del Nord già durante l’età del Bronzo scandinava tra il II e il I millennio a.C., c’era un notevole fermento culturale.

L’archeologo Klaus Randsborg, uno dei massimi esperti di quel periodo storico in Scandinavia, è del parere che «l’età del Bronzo in Europa settentrionale (approssimativamente dal 1800 a.C. al 500 a.C.) è una delle principali espressioni culturali dell’Europa primitiva; e tuttavia, stranamente, è quasi sconosciuta al di fuori dei confini scandinavi».

Scrivendo di quanto rinvenuto in tombe danesi di quel periodo, Randsborg suggerisce che «ogni grammo di rame, stagno e oro impiegato nella creazione di queste centinaia di migliaia di manufatti dovette essere importato, soprattutto dalle regioni minerarie dell’Europa centrale. Questo dimostra che ci stiamo occupando di una società organizzata in maniera complessa, in possesso di una fitta rete di relazioni sociali sia al suo interno che al suo esterno».

Tuttavia l’età del Bronzo in Scandinavia «non produsse una civiltà altamente sviluppata. L’architettura monumentale era sconosciuta; lo stesso può dirsi della scrittura, delle città, di altri vasti insediamenti. Dobbiamo limitarci ad immaginare una popolazione abbastanza numerosa, distribuita sulle colline, nelle foreste e nelle pianure della Scandinavia meridionale, assieme a mandrie di bestiame e greggi di pecore… La pesca era abbastanza produttiva; nei campi coltivati a rotazione crescevano orzo e frumento… Si trattava dunque di una vita semplice, il cui scopo primario era procacciarsi cibo e materiali grezzi per la sussistenza e la riproduzione della popolazione».

Le prime attività agricole comparvero in Danimarca e nella Svezia meridionale non prima della fine del III millennio a.C., con un ritardo di qualche migliaio di anni rispetto al resto dell’Europa centrale. Gli scarsi raccolti di avena e di orzo, erano lenti a maturare e difficili da mietere.

Nell’Europa delle foreste, il passaggio da un’economia prettamente di caccia e raccolta a un’agricoltura sistematica, comunque non determinante per il sostentamento, non è affatto lineare e le evidenze archeologiche mostrano uno sviluppo a chiazze.

I resti isolati di specie domesticate rinvenuti in Finlandia e nella regione del Baltico orientale, talvolta considerati preludio alle tecniche agricole, in realtà precedono anche di un millennio le attività stanziali.

L’archeologo Marek Zvelebil, le cui ricerche si concentrarono sulla questione della tarda transizione dal Mesolitico al Neolitico nella regione baltica, soprattutto in Finlandia e Baltico orientale, riteneva che la ragione di questo ritardo fosse dipesa dal fatto che «l’agricoltura non era necessariamente vantaggiosa, particolarmente per le comunità specializzate nello sfruttamento delle risorse acquatiche. In queste culture l’adozione dell’agricoltura avrebbe fatto perdere un grande investimento in tecnologia specializzata e in forme di organizzazione sociale adattate specificamente a un sistema complesso di caccia e raccolta. L’introduzione dell’agricoltura avrebbe causato inoltre problemi di programmazione di tempi, poiché nella zona a foreste euroasiatica, la stagione per la racconta delle specie vegetali è perlopiù l’autunno, che è anche il periodo più propizio alla caccia». Insomma, caccia e raccolta permettevano agli uomini del Nord di sostenere facilmente popolazioni anche numerose, almeno fino all’estinzione delle risorse.

Allo scarso sviluppo economico, derivante da limitate risorse, corrispose invece un notevole fermento culturale, come dimostrano i manufatti rinvenuti in migliaia di tumuli e le splendide navi effiggiate nei graffiti norvegesi e svedesi. Desta ancor più stupore, per esempio, il rinvenimento nel 1985 in Danimarca, nella Zelanda del nord, del misterioso tempio di Sandagergaard, frequentato almeno dal 1000 a.C. come risulta dalla datazione di tre urne funerarie e della ceramica sovrastante.

«Un grande recinto in pietra, con quattro lastre su ciascuna delle quali era incisa una mano tesa verso quattro linee trasversali… Il recinto misura all’interno 16 m di larghezza e 4,5 di lunghezza. La forma e la grandezza della struttura suggeriscono che si trattasse di un tempio e che lo spazio fra le due file di pietre fosse occupato dal muro esterno».  È quel che scrive l’archeologo danese Flemming Kaul, colui che si è occupato di scavare il sito.

L’esistenza di un simile luogo sacro, ma anche la ricchezza dei manufatti rinvenuti nei sepolcri, come ricordato da Randsborg, suggerisce quindi l’esistenza di una civiltà semplice ma ben organizzata che probabilmente declinò rapidamente all’incirca nell’VIII secolo a.C., quando il ferro sostituì il bronzo nella realizzazione dei manufatti.

Un recente studio promosso dalle Università di Oxford e Cambridge, pubblicato nel 2018 sulla rivista Royal Society of Open Science, ha permesso di rinvenire almeno duemila manufatti nella zona di Jotunheimen e Oppland, in quelle che sono le montagne più alte della Norvegia.

Tra gli oggetti di legno, tessuto e pelle, anche resti di frecce, guanti e sci, risalenti all’epoca precedente i vichinghi: i preziosi reperti sono tornati alla luce dal 2006 per lo scioglimento dei ghiacci, che finora aveva reso possibile la loro conservazione per millenni.

Una corsa contro il tempo per la squadra di Lars Holger Pilo, l’archeologo che coordina le ricerche sul campo, poiché gli oggetti, essendo ora esposti ai cambiamenti climatici, tendono anche a muoversi per l’azione del vento e dell’acqua.

Le misurazioni al radiocarbonio hanno restituito datazioni comprese tra il 4000 a.C. e l’VIII-X secolo d.C., ma considerando lo scioglimento continuo dei ghiacciai, si crede che possano affiorare dal terreno artefatti risalenti anche al 7000 a.C.

Molti dei manufatti finora recuperati risalgono al 536-660 d.C., quando temperature particolarmente fredde provocarono il collasso dell’agricoltura. Quanto rinvenuto testimonia che la gente, per sopravvivere in questo difficile periodo, si dedicò prevalentemente e con successo alla caccia delle renne in montagna, nonostante le avverse o variabili condizioni climatiche.

Nel 536 della nostra era, il genere umano dovette infatti sopportare l’ennesima devastazione globale del pianeta.

Le testimonianze dirette nei testi degli storici e negli scavi archeologici sono state suffragate dalla dendrocronologia, tecnica di datazione basata sulla crescita annuale degli anelli degli alberi nelle regioni a clima temperato (che oltre l’età rivela le mutate condizioni climatiche), che permette di ricostruire serie cronologiche con minimi margini d’errore, determinando anche le temperature generalmente attestate a migliaia di anni fa. In archeologia consente la datazione assoluta dei manufatti e può fornire conferme correttive alle datazioni ottenute con il metodo del radiocarbonio, poiché anche gli alberi nel processo di fotosintesi conservano tracce della concentrazione atmosferica di questo isotopo radioattivo.

Il rallentamento della crescita degli anelli tra il 536 e il 545 d.C. coincise con un raffreddamento climatico che produsse una siccità mortale per l’agricoltura e l’allevamento; da lì epidemie e carestie sterminarono intere popolazioni, misero in ginocchio imperi e produsse dispersioni umane.

Ulteriori conferme sono arrivate dai carotaggi nel ghiaccio della Groenlandia e dell’Antartico, dove sono emersi strati di sostanze solfuree depositate in quello spazio temporale.

Le evidenze hanno permesso al paleoecologo Robert Dull dell’Università del Texas ad Austin di affermare che tra le cause che produssero l’abbassamento delle temperature e tutto quel che ne conseguì, fu senz’altro l’eruzione del vulcano Ilopango in El Salvador, la più estesa degli ultimi diecimila anni.

Poiché gli stessi carotaggi contenevano anche alte concentrazioni di nichel e stagno, il geologo Enter Dallas Abbott della Columbia University in Palisades di New York ritiene che un’altra causa che aggravò la già precaria esistenza umana fu una pioggia di meteoriti della cometa di Halley, che entrarono nell’atmosfera terrestre durante il passaggio ravvicinato del corpo celeste, all’incirca nel 530 d.C. L’impatto, con cratere più consistente nel golfo di Carpentaria in Australia, provocò il sollevamento di una nuvola di polvere che oscurò il Sole per diversi anni e fu all’origine dell’abbassamento generalizzato delle temperature.

Sul finire del 2018 lo storico medievale dell’università di Harvard Michael McCormick, sulle pagine della rivista Antiquity, ha reso noto il risultato a cui è giunto il suo gruppo di ricerca, dopo aver analizzato i carotaggi del ghiacciaio Colle Gnifetti, sul confine italo-svizzero: ci fu anche una serie di eruzioni vulcaniche probabilmente in Islanda nel 536, 540 e 547, le cui ceneri si sparsero per tutto l’emisfero settentrionale, causando un inverno di diciotto mesi che contribuì alla crisi di cui si è già accennato.

I reperti rinvenuti sulle montagne norvegesi, databili all’era vichinga (VIII-X secolo d.C.), oltre a dimostrare un’evoluzione nelle tecniche di caccia, attestano un probabile aumento della popolazione, ora dedito anche ai commerci con l’attraversamento dei valichi di montagna.

Hai letto un estratto del libro Il Retaggio Perduto dei Vichinghi: Quando i Norreni conquistarono il mondo (Edizioni Cerchio della Luna, 2019)

 

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