Alla fine, di tanti ominidi, due specie girovaghe ebbero particolare fortuna: l’Homo erectus in Asia orientale e l’Homo heidelbergensis in Eurasia. I resti fossili di questi Homo recano impressi i segni del successo, cioè l’aumento delle dimensioni encefaliche e l’espansione della scatola cranica.
A scombinare tutto, però, è subentrato il cosiddetto Homo naledi, un altro ominide di cui finora non si sapeva niente, scoperto solo di recente. I resti fossili di questi ominidi, appartenenti ad almeno quindici persone che vissero in contemporanea con i nostri antenati diretti, sono stati trovati nel 2013 in Sudafrica, all’interno di un sistema sotterraneo di grotte chiamato Rising Star nei pressi di Johannesburg.
Il rinvenimento si deve alla nutrita squadra di Lee Berger dell’Università del Witwatersrand. Da lì è partito un acceso dibattito tra i paleoantropologi, come spiega Kate Wong sulle pagine di Scientific American, poiché l’ominide riunisce comportamenti cognitivi avanzati, come dimostrano anche i reperti associati alle ossa.
Homo naledi presenta una curiosa mescolanza di tratti anche primitivi: un cervello piccolo e caratteristiche moderne come le gambe lunghe, le ossa delle dita più lunghe e incurvate rispetto a quelle dell’essere umano, il piede sostanzialmente moderno. Tutte queste caratteristiche ne fanno, aggiunge Wong, un abile arrampicatore e un camminatore sulle lunghe distanze con andatura bipede, che forse si serviva di utensili da lui stesso realizzati.
Nel 2018 Berger ha scansionato col laser sette frammenti della volta cranica completa di Homo naledi, ricavandone un modello tridimensionale in grado di rilevare le impronte cerebrali. Infatti, in talune circostanze, è possibile che la forma del cervello possa rimanere impressa sulla volta cranica durante il processo di fossilizzazione.
Ciò ha permesso di accertare che la parte posteriore di questo cervello mostra cambiamenti rispetto agli antenati primitivi come Australopithecus. Inoltre, l’asimmetria cerebrale dell’emisfero sinistro è leggermente spostata in avanti rispetto a quello destro, come nel nostro cervello.
Anche la morfologia del solco lunato, una fessura del lobo occipitale, è del tutto simile alla nostra. In definitiva, anche se di ridotte dimensioni, la regione frontale del cervello si presenta molto simile a quella degli umani moderni. Un cervello simile, secondo Berger e gli altri autori dello studio, suggerisce una condivisione di aspetti organizzativi con quello umano.
Uno studio pubblicato l’anno dopo su eLife dà conto delle conclusioni degli studiosi guidati da Paul H.G.M. Dirks della James Cook University: tre denti dell’Homo naledi, analizzati con le tecniche della risonanza di spin elettronico (ESR), e della datazione uranio-torio, hanno restituito risultati compresi tra 236.000 e i 335.000 anni fa, confermati anche dalle risultanze emerse dai sedimenti circostanti. Nel frattempo, ulteriori resti fossili di questa specie sono stati rinvenuti a nemmeno cento metri degli altri, in una seconda grotta.
Le caratteristiche primitive di questi ominidi, nonostante la giovane età assegnata loro dalle datazioni, sono le stesse di altre specie precedenti alla nostra, compreso l’Homo erectus. Ciò significa che essi vissero più di due milioni di anni fa e si propagarono, a differenza degli altri, nella porzione meridionale dell’Africa, che a questo punto potrebbe essere la culla in cui si realizzò la diversificazione evolutiva del genere Homo. Si tratta di un’ipotesi che non trova ancora piena condivisione nel mondo accademico, poiché si ritiene che questa specie, per le analogie con Homo floresiensis, appartenga a un ‘vicolo cieco evolutivo’ e non abbia nulla da condividere con la nostra.
Berger sostiene, nello studio pubblicato nel 2018 su PNAS, che anche il rinvenimento di quei resti in grotte così difficili da raggiungere, soprattutto la seconda chiamata Dinaledi, suggerisce che la specie depose volontariamente i propri defunti in un contesto funerario, un’attività finora considerata esclusiva del sapiens, ma operata anche dai Neandertal, come testimoniato dal ritrovamento di corpi datati quattrocentomila anni fa nella grotta spagnola di Sima de los Huesos.
Inoltre, poiché molti siti di quel periodo contengono sofisticati strumenti di pietra della Middle Stone Age ma non hanno restituito resti umani, lui e il paleoantropologo Paul Dirks della James Cook University non si sentono di escludere che l’artefice fosse proprio l’Homo naledi, al pari dei Neandertal e dei sapiens.
I sofisticati comportamenti cognitivi di Homo naledi, che, nonostante le ridotte dimensioni del suo cervello, avrebbe posseduto una struttura molto simile a quella degli esseri umani, sembrano essere confermati anche dalle conclusioni raggiunte da Berger e numerosi altri ricercatori in uno studio scientifico pubblicato nel 2023, in cui si evidenziano i nuovi indizi (soprattutto prove geologiche e anatomiche) che confermerebbero per l’ominide un comportamento altamente complesso, come il raggiungimento del controllo del fuoco, la sepoltura intenzionale dei defunti e la produzione di qualche forma di arte (in quest’ultimo caso, sarebbero i petroglifi trovati sulle pareti della grotta di Sterkfontein in Sud Africa).
I quattro revisori paritari di questo studio, però, hanno giudicato incomplete e inadeguate le prove fornite, poiché metodi, dati e analisi non supportano le conclusioni principali, cioè la volontarietà di queste pratiche mortuarie almeno centosessantamila prima della nostra specie. Quel che manca, secondo loro, sono scavi completi, lo studio della geoarcheologia cruciale come la micro morfologia e le componenti taponomiche.
In uno studio specifico successivo sulla rivista scientifica PaleoAnthropolgy, i revisori, un gruppo di ricercatori guidato dall’antropologa Kimberly Foecke della George Mason University, confermano le loro contrarietà, sostenendo che da un punto di vista sedimentologico non vi è ancora nessuna prova sufficiente di sepoltura deliberata di resti di H. naledi.
Hai letto un estratto inedito della seconda edizione del libro “L’ultima specie”, prossimamente disponibile.